lunedì, Novembre 18, 2024

Requiem per la classe lavoratrice (Jeremy Rifkin)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

“Viviamo in un mondo di contrasti sempre più stridenti. Davanti ai nostri occhi si va formando l’immagine di una luccicante società tecnologica con computer e robot che senza sforzo apparente canalizzano le ricchezze della natura in un flusso di nuovi e sofisticati prodotti e servizi. Pulite, silenziose e iperefficienti, le nuove macchine dell’era informatica ci mettono il mondo a portata di mano, dandoci un controllo su ciò che ci circonda e sulle forze della natura che sarebbe stato a malapena immaginabile solo un secolo fa. In superficie, la fluida, nuova società dell’informazione sembra avere poca o punto rassomiglianza con le condizioni dickensiane della prima epoca dell’industrializzazione. Grazie alle nuove e potenti macchine intelligenti, l’ambiente di lavoro automatizzato sembra dare sostanza al vecchio sogno di una vita senza fatiche e sofferenze. In molte comunità, le vecchie e tetre fabbriche della seconda età industriale sono scomparse, l’aria non è più insozzata dagli scarichi industriali, le officine, le macchine e i lavoratori non sono più coperti di grasso e di morchia. Il sibilo degli altiforni e il ritmico, incessante rumore metallico delle gigantesche macchine dell’industria pesante sono diventati un’eco lontana; al loro posto si sente solo il tranquillo ronzio dei computer che lanciano informazioni lungo circuiti e reti, trasformando le materie prime in una cornucopia di beni.

E’ questa la realtà alla quale si riferiscono i mezzi di comunicazione di massa, di cui parlano gli accademici e i futurologi, di cui si discute nei consessi della politica. L’altra faccia della tecno-utopia nascente – quella insozzata dai cadaveri delle vittime del progresso tecnologico viene solo pallidamente suggerita dai rapporti ufficiali, dalle analisi statistiche e dagli occasionali racconti di vite perdute e di sogni infranti. Questo altro mondo si sta popolando di lavoratori alienati che sperimentano crescenti livelli di stress in ambienti di lavoro ad alta tecnologia e una sempre maggiore incertezza del posto di lavoro, mentre la Terza rivoluzione industriale compie il proprio corso in tutti i settori e in tutti i comparti dell’economia. Lo stress tecnologico

Si è scritto e detto molto sui circoli di qualità, sul lavoro di gruppo e sulla maggiore partecipazione dei lavoratori sul luogo di lavoro. Poco o nulla si è detto e scritto, invece, sulla dequalificazione del lavoro, sui ritmi di produzione sempre più accelerati, sui maggiori carichi di lavoro e sulle nuove forme di coercizione e di sottile intimidazione utilizzate per costringere il lavoratore a sottomettersi alle esigenze della produzione post-fordista.

Le tecnologie dell’informazione sono progettate per eliminare le ultime, pallide vestigia del controllo che l’uomo ha sul processo produttivo, attraverso la programmazione di istruzioni dettagliate direttamente nella macchina, che è così in grado di eseguirle alla lettera. Il lavoratore viene privato della capacità di esercitare il libero arbitrio, sia in fabbrica sia negli uffici, e del controllo sul risultato, che viene invece pianificato in anticipo da esperti programmatori. Prima del computer, il manager produceva istruzioni dettagliate in forma di «schedulazioni» che ci si aspettava venissero rispettate dai dipendenti; poiché l’esecuzione dell’incarico era nelle mani dei lavoratori, era possibile introdurre nel processo un elemento soggettivo: nel mettere in atto la pianificazione del lavoro, ogni lavoratore dava la propria impronta personale al processo produttivo: qualunque cosa accade in fabbrica o nell’ufficio è già stata pre-programmata da un’altra persona che potrebbe non partecipare mai alla realizzazione del futuro che ha creato.”

(Jeremy Rifkin, La fine del lavoro , pag. 295)

 

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