Da una parte papa Francesco sa che troppe questioni di lana caprina ancora oggi dividono le chiese cristiane che, a suo avviso, devono cercare un ecumenismo pratico, che faccia centro sui problemi del mondo.
Si tratta di un orizzonte evangelico fecondo al quale occorre lavorare con assiduità. Ne sono convinto, anche rispetto al dialogo con le altre tradizioni religiose.
Ma portare i teologi e le teologhe su un’isola deserta ha anche un risvolto inquietante. Infatti il lavoro, le domande, le critiche e le proposte di quei pochi teologi sono “pericolose” per le istituzioni ecclesiastiche consolidate.
Eppure, caro papa Francesco, talune critiche radicali all’impianto dottrinale sono inutilmente rimosse perché scomode.
Si preferiscono i “teologi della normalità”, i tinteggiatori di professione che verniciano e riverniciano il castello. Ma i nodi vengono al pettine. Le domande scomode e rimosse tornano.
Fino a quando potremo ripetere le formulazioni di Nicea, Efeso e Calcedonia, senza prendere sul serio l’ebraicità del Gesù storico?
Fino a quando la morale cattolica sarà ferma al modello unico di famiglia e il ministero sarà solo maschile?
Fino a quando continueremo a parlare del diavolo e delle fiamme dell’inferno e tenere in vigore la teologia e la prassi liturgica dell’espiazione e del suffragio?
Fino a quando continueremo a parlare di pace e manterremo i cappellani militari?
Fino a quando incoraggeremo un castello devozionale, turistico, miracolistico ed economico che ridicolizza l’esperienza della fede?
Sì, caro papa Francesco, i teologi e le teologhe che vanno alle radici, li avete già isolati. Forse non è nemmeno necessario portarli su un’isola deserta. Ma loro non taceranno e non si accontenteranno di fare i progressisti a servizio della comunità. Anche se saranno “quattro gatti” perché gli altri li avete già sistemati, rieducati, comprati e ammansiti.