mercoledì, Dicembre 18, 2024

La grande regressione (2a parte)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Trump è un caso perfetto del capitalismo dal doppio spirito, la cui formula fu individuata già da Quarto potere, in cui un rappresentante delle grandi banche, attaccato per aver usato il suo denaro per finanziare un giornale che dia voce ai diseredati, dice (tra l’altro n.d.r): “Io sono l’uomo che può aiutarvi, perché ho denaro e influenza. Se non difendo io gli interessi dei meno abbienti, qualcun altro lo farà, forse uno che non ha quattrini e niente da perdere e questo sarebbe un guaio”.

Questa frase ci fornisce la formula sintetica di quello che non va nell’idea secondo cui il miliardario Trump darebbe voce ai diseredati: la sua funzione strategica consiste nell’impedire che i diseredati si difendono da soli…

Trump è quindi lungi dall’essere semplicemente incoerente. Quella che sembra incoerenza è l’essenza profonda del suo progetto. Le due reazioni alla sua vittoria fanno eco a questa incoerenza e devono dunque essere rifiutate in quanto inaccettabili e in definitiva autodistruttive.

La prima consiste nell’ insistenza arrogante sulla stupidità degli elettori comuni che non hanno capito di aver votato contro i propri interessi, essendosi lasciati sedurre dalla demagogia superficiale di Trump; la seconda è l’appello alla controffensiva immediata (non c’è tempo per la filosofia, dobbiamo agire), che è stranamente simile all’ atteggiamento anti-intellettualistico dello stesso Trump. Judith Butler ha notato in modo molto acuto che come in ogni ideologia populista, Trump dà alle persone “l’occasione di non pensare, l’occasione di non dover pensare. Pensare significa pensare a un mondo molto complicato, così egli rende tutto molto molto semplice.

La principale reazione della sinistra liberale di fronte Donald Trump è la lamentela per il fatto che la rabbia popolare, strumentalizzata da figure come lui e dai populisti anti immigrazione in Europa, stia provocando una regressione della cultura politica: “Volgarità demagogiche” che, anche solo un paio di anni fa, non sarebbero state tollerate nello spazio pubblico, sono ora diventate un luogo comune, rappresentando un pericolo “chiaro e reale” per la nostra democrazia. L’altra non meno deprecabile reazione di sinistra al montare della rabbia populista, è una variazione sul vecchio tema del “se non puoi sconfiggerli unisciti a loro”. Una nuova tendenza si sta diffondendo in ciò che resta della “sinistra radicale”, dalla Grecia alla Francia: la riscoperta del nazionalismo. L’idea che mediante la rabbia popolare che ci circonda, le persone si siano svegliate, abbiano manifestato il proprio scontento, e che quella che i grandi media dominanti denunciano come una svolta pericolosa, non sia altro che un potente ritorno sulla scena della lotta di classe.

Il compito della sinistra è quello di superare la paura liberale e farsi carico di questa rabbia, distoglierla dal razzismo di destra, per orientarla verso la lotta socioeconomica diretta: il nemico non è lo straniero, ma la classe dominante, l’oligarchia finanziaria ecc. In questa prospettiva i movimenti identificati dai nomi di Trump e Sanders sono due forme di populismo, del ritorno della passione antagonista e anti-establishment al cuore della politica. (E’ senz’altro assurdo considerare Trump un miliardario che sfrutta ogni cavillo legale possibile, una figura anti-establishment; ciò nonostante, questo è proprio il paradosso originario del populismo.)

Entrambe le posizioni hanno ragione su almeno un punto: da un lato le buone maniere non dovrebbero mai essere sottovalutate in politica, dal momento che un discorso pubblico volgare indica per definizione un disorientamento politico più profondo; dall’altro è vero che la rabbia populista di destra è una forma distorta di lotta di classe, come già nel caso del fascismo. Entrambe però sono anche profondamente fallaci.

I critici liberali del nuovo populismo non capiscono che la rabbia popolare è un segno non del primitivismo della gente comune, ma della debolezza della stessa ideologia liberale egemonica, la quale non è più in grado di “fabbricare il consenso”, cosa che rende necessario il ricorso a una ideologia dal funzionamento più” primitivo”. I sostenitori del populismo di sinistra non capiscono invece che il populismo non è una forma neutrale a cui possa essere data un’impronta qualsiasi, sia di (estrema) destra o di sinistra. Il populismo, già sul piano formale, costruisce il nemico come un intruso esterno e così facendo nega l’antagonismo sociale immanente. Per questa ragione, benché sia chiaro che il populismo non coincide necessariamente con la degenerazione del discorso pubblico nella volgarità, esiste comunque una sorta di sua propensione naturale a scadere nella semplificazione volgare e nella aggressività personalizzata.

La sinistra populista accetta con troppa facilità la premessa fondamentale del suo nemico: la rinuncia all’ universalismo, liquidato come una vuota controparte politica e culturale del capitale mondiale senza radici e dei suoi esperti finanziari tecnocratici, al più come l’ideologia dei socialdemocratici habermasiani, che premono per un capitalismo dal volto umano.

La ragione di questa riscoperta del nazionalismo è ovvia e dipende dall’insorgenza del populismo nazionalista di destra nell’Europa occidentale, che attualmente la forza politica che con più vigore chiede la protezione degli interessi dei lavoratori e al contempo l’unica forza politica capace di suscitare passioni politiche.

Quindi l’idea è: perché la sinistra dovrebbe lasciare il campo alle passioni nazionaliste alla destra radicale, perché non dovrebbe contendere le “patrie” al Front National? La sinistra radicale non potrebbe forse adoperare queste stesse passioni nazionaliste, come un potente strumento contro l’aspetto principale della società mondiale di oggi, vale a dire il dominio sempre più illimitato del capitalismo finanziario senza radici? Solo (infatti) accettando questo orizzonte, la critica della tecnocrazia di Bruxelles dal punto di vista della sovranità nazionale ridimensionata, che oggi è la caratteristica più evidente della sinistra radicale, può diventare occasione di un patriottismo di sinistra. In Grecia ad esempio questo si traduce nella contrapposizione tra Varoufakis e Lapavitsas, con quest’ultimo che critica il vuoto pan europeismo del primo e del suo movimento Diem, in quanto accetta il terreno del nemico. (…)

Ecco perché dobbiamo spostare la nostra attenzione dal grande lupo cattivo populista al vero problema: la debolezza della posizione moderata razionale. Il fatto che la maggioranza non possa essere persuasa dalla propaganda capitalista” razionale” e sia molto più incline ad approvare una posizione populista anti -elitista non deve essere liquidato come un esempio del primitivismo del ceto basso: i populisti hanno individuato correttamente l’irrazionalità di questo approccio razionale; la loro rabbia rivolta a istituzioni impersonali che regolano le nostre vite in modo non trasparente è del tutto giustificata. La lezione che bisogna trarre dal fenomeno Trump è che il pericolo più grande per la vera sinistra è quello di accettare un patto strategico con i liberali sostenitori della Clinton, contro il grande pericolo incarnto da Trump. E questa lezione ha conseguenze a lungo termine perché la storia di Donald e Ilary continua: nel secondo capitolo i loro nomi sono sostituiti da quelli Marie Le Pen e Francois Fillon. Se la differenza tra Clinton e Trump era la differenza tra establishment liberale e la rabbia populista di destra, questa differenza si riduce al minimo nel caso della contrapposizione tra le Pen e Fillon. Benchè entrambi siano culturalmente conservatori, sul piano economico Fillon è un neoliberista puro, mentre Le Pen è più orientata verso la protezione degli interessi dei lavoratori. Fillon rappresenta la peggior combinazione oggi in circolazione, quella tra neoliberismo economico e il conservatorismo sociale. L’unico argomento a sua difesa è di tipo puramente formale: formalmente egli difende l’Europa unita e mantiene una distanza minima dalla destra populista. In questo senso rappresenta la decadenza immanente dell’establishment stesso: a questo ci siamo ridotti.

Dopo un lungo processo di sconfitte e ritirate. Come prima cosa, la sinistra radicale è stata sacrificata in quanto incapace di rapportarsi alla nostra epoca postmoderna e i suoi nuovi paradigmi. In seguito anche la sinistra socialdemocratica moderata è stata sacrificata in quanto priva di contatto con la necessità del nuovo capitalismo mondiale. Ora nell’ultima fase di questa triste storia, la stessa destra liberale moderata è stata sacrificata perché lontana dei valori conservatori che dobbiamo adottare, se noi mondo civilizzato, vogliamo battere le Pen.

Ogni somiglianza con la vecchia storia antinazista di come siamo rimasti passivamente a guardare mentre i nazisti al potere facevano fuori prima i comunisti, poi gli ebrei, poi la sinistra moderata, poi il centro liberale, infine anche i conservatori onesti è del tutto casuale. In una simile situazione astenersi dal voto è chiaramente l’unica cosa da fare oggi.

Oggi la sinistra liberale e la destra populista sono entrambe bloccate in una politica della paura: paura degli immigrati, delle femministe ecc., o paura dei populisti fondamentalisti e via dicendo. La prima cosa da fare è completare il passaggio dalla paura all’angoscia. La paura è paura di un oggetto esterno percepito come minaccioso rispetto alla nostra identità, mentre l’angoscia compare quando ci rendiamo conto che nell’identità che vogliamo proteggere dalla minaccia esterna tanto temuta, c’è qualcosa che non va. La paura ci spinge ad annientare l’oggetto esterno, mentre l’unico modo per affrontare l’angoscia è trasformare noi stessi. Si è tentati di rovesciare la celebre frase di Gramsci sui fenomeni morbosi che si verificano quando il vecchio muore e il nuovo non è ancora nato: mentre un ordine è ancora vigente gli orrori e le mostruosità sono normalizzate, ma nel processo di transizione, quando il vecchio ordine muore e il nuovo non si è ancora instaurato, gli errori si rendono visibili, vengono de-normalizzati e in tali momenti di speranza le grandi azioni diventano possibili.

L’emergenze della situazione attuale non deve in alcun modo servire da scusante: l’emergenza è il momento giusto per pensare. Non dobbiamo avere paura di ribaltare la undicesima tesi di Marx: finora abbiamo cercato di cambiare il mondo con troppa fretta, adesso è giunto il momento di interpretarlo in modo autocritico, esaminando la nostra responsabilità di sinistra e questo è quello che dovremmo fare oggi all’indomani della vittoria di Trump (la quale non bisogna dimenticarlo è solo la prima di una serie di brutte sorprese analoghe): dobbiamo rifiutare sia il disfattismo, sia il cieco attivismo e come avrebbe detto Lenin “studiare, studiare, studiare” le ragioni di questo fiasco della politica liberaldemocratica.

Nei suoi appunti per una definizione della cultura, il grande conservatore T. Eliot ha sottolineato che ci sono momenti in cui l’unica scelta è quella tra l’eresia e l’assenza di fede, quando l’unico modo per tenere in vita una religione è compiere una scissione settaria dal suo nucleo principale. E’ questo che occorre fare oggi le elezioni americane del 2016 sono stati un colpo mortale al sogno di Fukuyama, la sconfitta finale della democrazia liberale. L’unico modo per battere davvero Trump e redimere ciò che vale la pena di salvare della democrazia liberale è compiere una scissione settaria dal nucleo principale della democrazia liberale, in breve spostare il peso da Clinton a Sanders, di modo che le prossime elezioni siano tra lui e Trump.

I punti del programma di questa nuova sinistra sono abbastanza semplici da immaginare. Ovviamente l’unica reazione possibile al deficit democratico del capitalismo mondiale sarebbe dovuta passare per un’entità transnazionale. Non era stato già Kant a riconoscere più di due secoli fa, il bisogno di un ordine giuridico transnazionale, fondato sulla nascente società globale? Ora dato che la comunanza stretta o meno ormai dovunque prevalente tra i popoli della terra si è estesa a tal punto che la violazione del diritto, compiuta in un punto della terra, viene percepita in tutti, l’idea di un diritto cosmopolitico non è un modo chimerico e stravagante di rappresentarsi il diritto.”

Questo però ci riporta quella che è verosimilmente la contraddizione principale del nuovo ordine mondiale: l’impossibilità strutturale di trovare un ordine politico globale che corrisponda all’ economia capitalista. E se per ragioni strutturali e non solo per via dei limiti empirici non ci potesse essere una democrazia internazionale, un governo mondiale rappresentativo? Il problema strutturale del capitalismo globale sta nell’impossibilità (e nello stesso tempo nella necessità) di un ordine socio politico che gli sia adeguato. L’economia di mercato non può essere organizzata direttamente come una democrazia liberale globale tramite elezioni universali.

L’alternativa di sinistra (…) dovrebbe consistere in un progetto di nuovi, diversi accordi internazionali. Accordi che impongono il controllo delle banche, accordi sugli standard ecologici, sui diritti dei lavoratori, sul servizio sanitario, sulla protezione delle minoranze sessuali ed etniche.  La grande lezione del capitalismo globale è che gli stati- nazione non possono svolgere il lavoro da soli. Solo una nuova internazionale politica può forse contenere il capitale mondiale. Un vecchio anticomunista di sinistra una volta mi disse che l’unica cosa buona di Stalin era la paura autentica che suscitava nelle potenze occidentali…

Lo stesso si può dire di Trump: la cosa buona è che spaventa davvero i liberali.

Le potenze occidentali impararono la lezione, si concentrarono in modo autocritico sulle proprie mancanze sviluppando lo stato sociale. I liberali di sinistra saranno in grado di fare qualcosa di analogo?

La vittoria di Trump ha prodotto una situazione politica del tutto inedita in cui esistono diverse opportunità per una sinistra più radicale. E’ giunto il momento di lavorare duro per costruire una sinistra politica radicale.

 

AA.VV., La grande regressione. Quindici intellettuali da tutto il mondo spiegano la crisi del nostro tempo, Milano,Universale Feltrinelli, 2017 pag. 221-234,

 

Slavoj Žižek (Lubiana, 21 marzo 1949) è un filosofo e psicanalista sloveno.
Ricercatore all’Istituto di Sociologia dell’Università di Lubiana, è docente all’European Graduate School e Direttore del Birkbeck Institute for the Humanities presso l’Università di Londra. Nel corso degli anni, è stato professore invitato in numerose università, in particolare negli Stati Uniti (Columbia, Princeton, The New School, New York University, Michigan, SUNY Buffalo, Georgetown). Dal luglio 2013 è Eminent Scholar presso l’Università Kyung Hee di Seul.

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