Complicate le trattative fra il governo Tsipras e i vertici ortodossi: il nodo degli stipendi e dei terreni contesi
Alcuni giorni fa l’annuncio: in Grecia cambiano le relazioni fra Stato e la potente Chiesa ortodossa, nella direzione di un legame meno stretto fra le parti.
Alexis Tsipras, capo del governo e l’arcivescovo di Atene Ieronymos II ci hanno messo la faccia, ma alla fine di un incontro descritto come tempestoso, il Santo Sinodo della Chiesa greco-ortodossa, riunito nei giorni scorsi, non ha sostenuto il piano del governo in 15 punti, senza voler per questo interrompere le trattative in corso. «Il dialogo con lo stato su questioni di interesse comune deve continuare» si legge nel comunicato finale.
Il controverso accordo è stato firmato il 6 novembre dal primo ministro Tsipras e dall’arcivescovo di Atene Ieronymos II, primate della Chiesa greca ortodossa. Il testo, presentato come storico in un paese in cui Chiesa e Stato sono strettamente collegati, prevede in particolare che i pope e gli altri membri del clero perdano il loro status di funzionari pubblici, per cui lo Stato non pagherebbe più direttamente il loro stipendio, ma girerebbe l’equivalente monetario (circa 200 milioni di euro all’anno) ad un fondo della chiesa greca cui spetterebbe infine la distribuzione.
In pratica nulla cambia se non un bizantinismo nella circolazione del denaro e soprattutto nel mostrare un’apparente separazione fra Stato e Chiesa.
Questo punto focalizza la critica e la tensione della gerarchia ortodossa, che teme comunque di perdere i benefici dello status di dipendente pubblico. Un fondo immobiliare comune dovrebbe anche gestire i tantissimi terreni contesi fra il demanio e la chiesa, e i profitti derivanti venire divisi a metà. Tutti quelli che non sono luoghi di culto saranno soggetti all’imposta patrimoniale. Desideroso di continuare i colloqui, il Santo Sinodo ha deciso di istituire una commissione speciale, composta da sacerdoti ed esperti legali ed economici, per prendere in considerazione un’altra soluzione.
Tuttavia, i negoziati saranno difficili perché il governo non sembra disposto a rinunciare al suo piano. Nel periodo precedente alle elezioni parlamentari del settembre 2019, il primo ministro vuole emendare la costituzione per affermare la neutralità dello Stato greco rispetto alla religione e rispondere così ad un impegno preso durante le campagne elettorali. Tanto più che, secondo i sondaggi, i greci sono ora in maggioranza nel chiedere una separazione chiara tra Chiesa e Stato. Il testo costituzionale, datato 1975 all’indomani della caduta della dittatura dei colonnelli, pur non riconoscendo l’ortodossa come chiesa di stato la definisce “religione predominante”.
In una posizione scomoda, il Santo Sinodo assicura all’unanimità che il dialogo con il governo non è rotto. L’arcivescovo Ieronymos si trova in una situazione di disagio per aver in sostanza avvallato degli accordi che il Sinodo ha in seguito frenato. «Il ruolo dell’Arcivescovo è esprimere il comune denominatore di tutti i punti di vista per il bene della Chiesa, ed è proprio quello che ha fatto. V’è un consenso unanime su tre punti», ha detto il metropolita Ierotheos di Nafpaktos, in una conferenza stampa, elencandoli: la prosecuzione del dialogo, la creazione di una commissione e l’insistenza sulla questione chiave dello status dei membri il clero. Se non proprio due passi indietro, quasi.
(Claudio Geymonat, Riforma.it, 21 novembre 2018)