ANNO B, XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO; Dn 12,1-3; Sal 15; Eb 10,11-14.18; Mc 13,24-32
Probabilmente alle spalle di questa pagina dai colori minacciosi ed apocalittici c’è la recente irruzione delle truppe romane e la profanazione e la distruzione del tempio di Gerusalemme.
Sembrò loro la fine del mondo; in realtà fu solo la fine di “un “ mondo, il loro mondo.
Questo enorme sconvolgimento che a molti parve come la fine di ogni promessa e di ogni speranza, rischiava di bloccare ogni iniziativa, di raggelare i cuori, di paralizzare anche i discepoli del nazareno (che allora erano uno dei tanti gruppi interni all’esperienza giudaica).
Ma è più probabile che questi toni apocalittici dell’imminente venuta del regno di Dio abbiano trovato spazio anche nel cuore, nella cultura e sulla bocca di Gesù che, giorno dopo giorno, vedeva infrangersi il suo sogno di un intervento in cui Dio trasformasse questa realtà piena di oppressione.
Gesù di Nazareth fu certamente un profeta dai tratti apocalittici, nel senso che aveva la ferma fiducia che l’ultima parola della storia non stesse nelle mani dei potenti, ma ben salda nelle mani del creatore e liberatore.
Ovviamente sui tempi e sui modi dell’intervento divino anche Gesù non sapeva nulla di più di quanto sappiamo noi.
Sono straordinariamente chiare le pagine che il teologo Jon Sobrino ha scritto al riguardo. Le ho riportate nel mio ultimo libro “Confessione di fede di un eretico” (Ed. Mille).
Di Gesù, dunque, presentato come assolutamente sincero e fiducioso nel Padre, i Vangeli non hanno difficoltà a dire che non conosce il giorno, il tempo dell’inveramento, della realizzazione dei “cieli nuovi e terre nuove”.
“Di questo Gesù non sa semplicemente nulla. E’ il mistero di Dio e solo di Dio” (pag.67). Questo per Gesù come per ciascuno /a di noi .
LA SUA IGNORANZA NON SCALFISCE LA FIDUCIA
L’abbaglio che Gesù prende, l’errore in cui incorre rispetto ai tempi e l’ignoranza creaturale del “calendario di Dio” non cancellano mai in lui la radicale fiducia nel Dio della promessa.
Egli coniuga la fretta dell’apocalittico appassionato con la più profonda e radicale fiducia in Dio. Per questo esorta a vedere ogni ramo che diventa tenero, ogni germoglio di vita, ogni foglia che verdeggia….
Ecco ciò che la comunità di Marco e gli evangeli raccolgono come messaggio.
Nell’attesa che maturino i tempi della “pienezza” del regno di Dio, occorre non stare con le mani in tasca, inoperosi, ma valorizzare ogni germoglio di bene, ogni fiore di primavera come annuncio dell’estate che viene.
Questo è il modo di vivere un’attesa che apre il futuro senza cancellare il presente in tutte le sue dimensioni.
LE PAROLE DI GESU’ NON PASSERANNO
Marco ha messo sulla bocca di Gesù questa scoperta: la direzione di vita che Gesù ci ha indicato, la fiducia in Dio che lo ha sorretto, la speranza che Dio è presente in tutte le arterie del creato, questo non tramonterà.
Noi, come Gesù, non possiamo “indovinare” i tempi, ma possiamo vivere un’attesa attiva, ossigenata dalla fiducia nel Dio e che, anche nelle notti più buie, non cessa di essere la luce sul nostro cammino.
E’ il messaggio di Gesù che ci libera dal “presentismo”, il vivere il presente come prigione o nella dimensione storica o nella dimensione dell’autocentramento, dell’egoismo edonistico moderno vissuto, venduto e scambiato per felicità.
NON CORRIAMO INVANO
La parola di Gesù che non tramonta è qui: se non lavoriamo ad un futuro “altro” in noi e fuori di noi, con tanta fiducia in Dio, con la passione apocalittica e profetica, la nostra vita si perde, si spende e si spegne nei rivoli del nulla e la nostra fede si riduce ad una cornice religiosa.
Esattamente come Gesù, ignoriamo i tempi e i modi in cui la storia si aprirà alle istanze del regno di Dio, fatto di giustizia e di amore, ma non rischiamo idi correre nvano se seguiamo la traccia del nazareno.
Il messaggio biblico cancella i maghi e gli indovini, ma ci convoca per una esistenza quotidiana vissuta da profeti e testimoni.