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Santità, sull’aborto la mia coscienza di cattolico la contesta

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

(Pubblichiamo il commento alle parole del papa sull’aborto di Michele Meschi, medico internista ospedaliero, collaboratore della rivista Tempi di Fraternità, nonché socio ordinario del Centro Studi Biblici “Giovanni Vannucci” di Montefano (MC), apparso sulla sua bacheca Facebook).

Dunque, Santità.

Prendo il discorso con le pinze, e mi intenda bene.

La ritengo il miglior pontefice da Giovanni XXIII a questa parte, credo che lei abbia fatto e faccia molto per il cambiamento della Chiesa e il superamento di posizioni incommentabili. Le sue encicliche e le sue esortazioni apostoliche sono autentici capolavori spirituali.

Non amo definirmi, ma dovrei essere cattolico per prassi e per cultura. Non vorrei esserlo per bandiera, mai.

Per motivazioni umane, più che per adesione ad un credo, sono personalmente contrario all’aborto. Però sto parlando a titolo personale, davanti a una scelta che spero non mi tocchi mai. A una scelta davanti a cui, peraltro, non so come mi comporterei davvero. Perché ai problemi bisogna esserci dentro.

Ritengo invece la possibilità di abortire con assistenza sanitaria, secondo criteri, tempi e regole precisi, un diritto inalienabile di tutti. Meglio: di tutte, non dimentichiamo questa sottile declinazione.

Ritengo altresì fondamentale la prevenzione (nemmeno in questo caso il divieto tout court) dell’aborto richiesto per ragioni non cliniche, pertinenti alla madre o al concepito.

Fatte queste premesse, Santità, devo dirle che le parole usate da Lei, e mi riferisco a “terapeutico” e “sicario” messe in una stessa frase, non sono degne di un papa. Perché non sono degne di un uomo, e sono terribilmente gravi nei confronti dei medici, degli infermieri, degli ostetrici. E delle donne, ancora una volta.

Non lo sono soprattutto di questi tempi, ché già li sento, i violenti coercitori che rialzano la testa, che verranno a dirmi che il magistero del papa si prende in toto o non si prende.

Il gesto da Lei compiuto in occasione del giubileo della misericordia, ovvero di sottrarre al giudizio dei vescovi un argomento così delicato, per lasciarlo all’incontro tra chi offre e chi riceve il mistero del dolore e del perdono, era in tutt’altra direzione.

Se oggi molti cristiani sono fieri di essere diversi, rispetto alla confessione cattolica, e di non aver voglia di alcun passo avanti o indietro, hanno perfettamente ragione.

E io sono con loro. Da cattolico: perché, grazie a Dio, il Concilio ci ricorda che sopra di Lei e del suo magistero c’è solo la voce della propria coscienza.

Ed oggi la mia è altrove.

(Adista, 11.10.2018)

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