In occasione della riapertura delle scuole, e in vista della  presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2018 il prossimo 25  ottobre, il Centro Studi e Ricerche IDOS e la rivista Confronti hanno  diffuso i dati sulla presenza di bambini stranieri tra i banchi: «In  Italia le classi saranno ancora spiccatamente multiculturali». Come  conferma lo stesso Dossier, è infatti straniero un bambino su 10, anche  se in circa 3 casi su 5 è nato in Italia. L’incidenza, si legge poi nel  comunicato diffuso ieri, è «in continua crescita, visto che gli alunni  figli di italiani vanno sempre più diminuendo (-96.300 in un anno,  -1,2%) per il costante calo delle nascite, mentre quelli nati da  genitori stranieri vengono gradualmente aumentando (+11.200 e +1,4%),  grazie alla maggiore giovinezza e fecondità della popolazione di origine  immigrata».
Ma c’è un dato, dicono IDOS e Confronti, che  dovrebbe imporre alla classe politica italiana una seria riflessione:  la quota, cioè, «sempre più ampia di alunni stranieri che sono nati in  Italia, le cosiddette “seconde generazioni”, che spesso riconoscono  l’italiano come propria lingua madre, vivono con e come i coetanei  italiani e si sentono tali a tutti gli effetti, condividendo con loro  ogni cosa eccetto la cittadinanza (e ciò che essa comporta, in termini  di riconoscimento giuridico e di diritti). Se nell’anno scolastico  2007-2008 erano appena un terzo (34,7%) di tutti gli alunni stranieri,  nell’anno scolastico 2016-2017 sono più di mezzo milione (503.000), i  tre quinti (60,9%) del totale. Rispetto all’anno scolastico precedente,  costoro sono aumentati di ben il 12,9% (+57.600)».
Divisi tra una doppia identità, afferma Luca Di Sciullo (presidente  IDOS), questi giovani «rischiano un doppio conflitto: oltre che con la  famiglia d’origine, perché si sentono italiani, anche con la società  ospitante, se, al momento di inserirsi nel mondo del lavoro o nei  contesti di partecipazione sociale, verranno comunque discriminati  perché formalmente stranieri». Il rischio è che il conflitto d’identità  possa esplodere «quando, usciti dalle aule, questi giovani si  inseriranno nella società». Di tutto questo la nuova scuola  multiculturale deve farsi carico, conclude Di Sciullo, in  «collaborazione con tutte le altre agenzie formative (famiglie,  associazioni, gruppi sportivi ecc.) che una volta formavano la  cosiddetta comunità educante».
(Giampaolo Petrucci, Adista 12/09/2018)
