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Stranieri a scuola: il Dossier Statistico Immigrazione lancia la sfida

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).
In occasione della riapertura delle scuole, e in vista della presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2018 il prossimo 25 ottobre, il Centro Studi e Ricerche IDOS e la rivista Confronti hanno diffuso i dati sulla presenza di bambini stranieri tra i banchi: «In Italia le classi saranno ancora spiccatamente multiculturali». Come conferma lo stesso Dossier, è infatti straniero un bambino su 10, anche se in circa 3 casi su 5 è nato in Italia. L’incidenza, si legge poi nel comunicato diffuso ieri, è «in continua crescita, visto che gli alunni figli di italiani vanno sempre più diminuendo (-96.300 in un anno, -1,2%) per il costante calo delle nascite, mentre quelli nati da genitori stranieri vengono gradualmente aumentando (+11.200 e +1,4%), grazie alla maggiore giovinezza e fecondità della popolazione di origine immigrata».

Ma c’è un dato, dicono IDOS e Confronti, che dovrebbe imporre alla classe politica italiana una seria riflessione: la quota, cioè, «sempre più ampia di alunni stranieri che sono nati in Italia, le cosiddette “seconde generazioni”, che spesso riconoscono l’italiano come propria lingua madre, vivono con e come i coetanei italiani e si sentono tali a tutti gli effetti, condividendo con loro ogni cosa eccetto la cittadinanza (e ciò che essa comporta, in termini di riconoscimento giuridico e di diritti). Se nell’anno scolastico 2007-2008 erano appena un terzo (34,7%) di tutti gli alunni stranieri, nell’anno scolastico 2016-2017 sono più di mezzo milione (503.000), i tre quinti (60,9%) del totale. Rispetto all’anno scolastico precedente, costoro sono aumentati di ben il 12,9% (+57.600)».

Divisi tra una doppia identità, afferma Luca Di Sciullo (presidente IDOS), questi giovani «rischiano un doppio conflitto: oltre che con la famiglia d’origine, perché si sentono italiani, anche con la società ospitante, se, al momento di inserirsi nel mondo del lavoro o nei contesti di partecipazione sociale, verranno comunque discriminati perché formalmente stranieri». Il rischio è che il conflitto d’identità possa esplodere «quando, usciti dalle aule, questi giovani si inseriranno nella società». Di tutto questo la nuova scuola multiculturale deve farsi carico, conclude Di Sciullo, in «collaborazione con tutte le altre agenzie formative (famiglie, associazioni, gruppi sportivi ecc.) che una volta formavano la cosiddetta comunità educante».
(Giampaolo Petrucci, Adista 12/09/2018)

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