Quando la legge diventa un assoluto, in quel momento si arresta  il viaggio, muore la speranza ed entriamo nella idolatria del sabato  contro cui Gesù dovette combattere.
XXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO
PRIMA LETTURA: Dt 4, 1-2.6-8- SALMO: 14- SECONDA LETTURA: Gc l, 17-18. 21b-22.27- VANGELO: Mc 7,1-8.14-15.21-23    
Un luogo costante della riflessione morale è il rapporto fra la legge  e la coscienza. È storicamente riconosciuto che questo rapporto è stato  illuminato, a beneficio di tutti gli uomini, dal Vangelo di Gesù  Cristo. Ma noi non possiamo ridurci a sviluppare questo tema assumendolo  nella sua enunciazione astratta senza approfondire il senso che  assumono sulla pagina della Scrittura i termini «legge» e «coscienza». 
Nel brano del Deuteronomio voi avete l’enunciazione chiara delle ragioni  per cui il popolo ebraico diventò un popolo. A prescindere da ogni  giudizio di valore circa la perennità della Legge ebraica, non possiamo  non riconoscere che nella moltitudine di profughi dall’Egitto divenne  popolo in ragione della Legge. 
La Legge ebraica fu data da Mosè in vista  della Terra promessa.  
Era una legge per un popolo proteso in avanti;  non era una legge in ragione di se stessa, ferma su se stessa quasi  fosse garanzia di santità. Per quel popolo in viaggio la legge era  garanzia di compattezza, di tensione verso la promessa di Dio – come  dice il testo – verso il paese che «il Signore Dio dei vostri padri sta  per darvi». Quindi una legge aperta sul futuro. Che è, già per questo,  relativa, disponibile al cambiamento. 
Assoluto è soltanto il viaggio,  non la legge.  
Come dirà Paolo tanto tempo dopo: la legge è pedagogia  verso l’adempimento. Quando la legge diventa un assoluto, in quel  momento si arresta il viaggio, muore la speranza ed entriamo nella  idolatria del sabato contro cui Gesù dovette combattere. 
Dico questo  perché la contrapposizione fra coscienza e legge viene mal posta se si  fa fare alla legge la figura del male, come se la legge non dovesse  esserci. 
Noi lo vediamo, del resto, anche oggi che le esigenze della  speranza, quando rifiutano la legge, diventano facilmente distruttive,  negano le proprie stesse ragioni. Sperare insieme vuol dire porsi  innanzi degli obiettivi, degli strumenti, delle norme di comportamento.  La legge può essere il passaggio della soggettività rigurgitante di  attese e di desideri nella oggettività che tutti ci lega allo stesso  patto e allo stesso proposito. 
Non c’è passaggio dal soggetto alla  storia senza la legge. 
E così si dica delle istituzioni come strutture  in cui si condensa la volontà generale. Ogni disprezzo pregiudiziale per  la legge rivela, in apparenza, spirito profetico, ma in realtà  immaturità, soggettivismo impenitente, incapacità di assumere il peso  della solidarietà comune verso comuni obiettivi. Questo già a livello  civile. 
Per quanto riguarda il popolo di Dio nella vecchia economia del  Testamento di Mosè, noi dobbiamo riconoscere che fu proprio in ragione  della legge che quel popolo si tenne compatto attorno alla promessa di  Dio. «La Legge è buona», dirà uno dei suoi più alti critici, Paolo di  Tarso, perché essa custodisce la speranza del futuro. Soltanto che la  legge diventa facilmente strumento del potere degli uomini. […] 
È vero,  sì, che da qualche anno – ed è un segno dello Spinto del Signore – la  parola di Dio riemerge come norma vera della vita cristiana ma nella  memoria di tutti voi – per non dire altro – sono presenti le cavillose  regole che disciplinavano il digiuno eucaristico e l’astinenza del  venerdì. Le casistiche dei confessionali andavano a battere attorno a  precetti che sono evidentemente tradizioni umane. 
E vi rendete conto di  come sulla nostra maniera di vivere il Vangelo, ancora pesi il cumulo  delle antiche tradizioni.
Le quali sono, senza dubbio, valide nella  misura in cui si contengono nel senso relativo della loro origine e del  loro scopo, pronte a morire quando devono morire. 
Tutto il dramma delle  coscienze cristiane, oggi, è da ricondursi alla transizione  indispensabile dalla tradizione alla Parola il che non può avvenire  senza strappi, senza lacerazioni. […] 
Per rifarci alla parola del  Signore, noi dobbiamo abolire – come Egli dice con forza – ogni  discriminazione morale che nasce dall’esterno dell’uomo, prima fra tutte  la discriminazione fra il sacro e il profano.  
Ecco perché il Vangelo è  un annuncio liberante, anche sul piano storico, lo ripeto, noi, figli  dei farisei e degli scribi più che di Cristo, abbiamo ricreato la legge  del Talmud, per soffocare la scintilla vitale e creativa della parola di  Dio che sorpassa i secoli e costantemente dischiude orizzonti di  profezia sulla stasi della storia. 
Noi abbiamo creato il soffocamento  della parola di Dio attraverso la distinzione fra il sacro e il profano  che Gesù ha abolito.  
L’unica realtà sacra, per Gesù è l’uomo vivente. Ma  noi, per una specie di fecondità insopprimibile nella natura umana  nella sua condizione di debolezza e di ignoranza storica, riproponiamo  le distinzioni, considerandole come intangibili. 
Vale più un uomo vivo  che questo edificio in cui siamo; vale più un uomo vivo che qualunque  cosa sacra: perché tutto è per l’uomo. 
Anche il sabato (e quando Gesù  diceva «sabato», tra gli ebrei, diceva una cosa santissima) è per  l’uomo. 
Siamo ancora agli inizi, viviamo gli esordi del  cristianesimo!…
Ernesto Balducci – “Il mandorlo e il fuoco” vol 2 – anno B 
