Le segregazioni razziali che sembrerebbero impossibili a quaranta anni da Auschwitz, e le sperequazioni sempre maggiori fra l’opulenza e la fame, sono sotto i nostri occhi in maniera perentoria. Non è nemmeno possibile far finta: l’evidenza ci aggredisce per mille vie.
XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno B
PRIMA LETTURA: Nm Il,25-29- SALMO: 18- SECONDA LETTURA: Gc 5, 1-6- VANGELO: Mc 9,38-43.45.47-48
Più si allargano le ragioni esterne del timore, dello smarrimento, della mancanza di prospettive e più cresce una specie di forza centripeta che ci coagula tra di noi, stringe il gruppo con vincoli più rigorosi, fissa le identità e le investe di una specie di aggressività verso l’esterno. Non ci dimentichiamo mai che, nonostante le nostre presunzioni di civilizzati, alle nostre radici scorre un’acqua scura che è quella della paura dell’esistere, la paura del mondo. Questa struttura permanente diventa drammatica quando, per congiunture storiche, è sollecitata e amplificata. Ecco perché il nostro tempo è il tempo in cui le parole che i nostri padri pronunciavano con fierezza, parole di dignità morale universale. – le parole della fraternità, dell’eguaglianza, della giustizia – sono cadute nel ludibrio. Non le possiamo ripetere se non con un qualche rossore, perché i fatti che sono sotto i nostri occhi ci dicono che esse sono menzogna. È finita l’euforia con cui la nostra coscienza poteva allattarsi alla duplice fonte della Chiesa cattolica universale con i missionari di tutto il mondo, e della cultura occidentale con tutti i suoi fasti offerti al mondo intero. Questo era il clima in cui si è svolta la mia infanzia. Ci è rimasto dentro il desiderio di ricostruire quel mondo che era invece, in tutti i sensi – ecco perché la nostra stagione è stagione di svelamento – una menzogna. E la menzogna, sotto l’apparente benessere, è la malattia che ci governa e ci modella dentro. Non capiremmo quello che sotto i nostri occhi oggi si squaderna, se non ritornassimo a quel tempo. Le segregazioni razziali che sembrerebbero impossibili a quaranta anni da Auschwitz, e le sperequazioni sempre maggiori fra l’opulenza e la fame, sono sotto i nostri occhi in maniera perentoria. Non è nemmeno possibile far finta: l’evidenza ci aggredisce per mille vie. Ecco perché io penso che i tempi che verranno saranno insidiati, sempre di più, dal pericolo del fanatismo. Il fanatismo non è altro che la traduzione aggressiva della paura interiore. Esso cresce man mano che cresce in noi il senso della precarietà, della relatività, dell’incertezza. Questi caratteri che ieri parevano negativi oggi sono costitutivi della salute della coscienza. La coscienza equilibrata, in un tempo di oggettiva incertezza, ha incertezza, è perplessa, riflette, indaga, proietta dinanzi a sé la possibilità come suo orizzonte; non ha dogmi da affermare, accetta la misura relativa, non scrive verità con la V maiuscola, non si riempie la bocca di parole tonanti, accetta la condizione precaria come condizione umana. Trasformare in salute quella che i padri consideravano una malattia e rigettare le sicurezze aggressive come nuovo pericolo, è un cambiamento etico di grande importanza ed è la condizione stessa per creare un mondo di pace in cui non ci colpiamo l’un l’altro con la verità come se fosse un randello, non minacciamo roghi a nessuno, per le sue idee, ma poniamo al primo posto la coscienza, con i suoi verdetti e con le sue coerenze, secondo un criterio sempre più largo di compatibilità. Questo è il tempo nuovo in cui dobbiamo entrare.
Ernesto Balducci – “Il Vangelo della pace – volume 20” – anno B