Solo fra gli Schützen la linea di Vienna per concedere il passaporto ai sudtirolesi trova consensi
«Sono un tirolese. Mio nonno era tirolese, era nato a Trento, che all’epoca era austriaca. E io nel cuore ho una sola verità: il Tirolo per me finisce al Lago di Garda. Il vostro Alto Adige noi lo chiamiamo ancora Südtirol». Il maggiore Helmuth Paolazzi ha appena rimesso nella fodera il fucile. Il poligono di tiro domina dall’alto la piana di Innsbruck. Il cielo è pazzesco, tra nuvole e azzurro, e dall’altra parte della valle spicca tra le vette il monte Patscherkofel.
Dritto dietro di lui c’è il Brennero. Il confine che da 100 anni divide i due Stati, Austria e Italia, e che la legge allo studio del governo di Vienna sulla doppia cittadinanza ai tedesco-parlanti di Bolzano vorrebbe in qualche modo cancellare.
Paolazzi è il comandante di un battaglione degli Schützen, tradizionalisti difensori del territorio, discendenti delle compagnie paramilitari che durante il primo conflitto mondiale combatterono contro i nostri alpini schierati sul fronte veneto, quando l’Italia dichiarò guerra all’Austria. «Due anni di lotta, mille morti, ma non perdemmo un metro quadro di terra», commenta orgoglioso. Di quei combattenti oggi restano le associazioni folkloristiche, che vestono in costumi locali e festeggiano con fierezza la loro «tirolesità».
Ieri era il giorno dell’esercitazione libera coi fucili. Il maggiore Helmuth, imprenditore del legno di mestiere, si è ritrovato con alcuni colleghi (in tutta Innsbruck gli Schützen sono 17mila, divisi in 11 compagnie), per l’annuale sfida al poligono che loro considerano solo sport. Tra loro c’è anche un prete, Maximilian Thaler, sacerdote della chiesa di Pradl, quartiere popolare della città. Il 38enne è più un’eccezione che la regola tra gli Schützen, per la maggior parte tifosi della doppia cittadinanza agli altoatesini: «A me non interessa il tema doppia cittadinanza. E’ la battaglia di una parte della destra. Siamo tutti europei, tanto mi basta».
L’aria che tira oltre confine è questa qui: ai piani alti, nei palazzi del governo del cancelliere Sebastian Kurz, popolare alleato con l’ultradestra dell’Fpö, apparentemente si studia il disegno di legge. Basta scendere in città, nel centro di Innsbruck tra il passeggio del sabato pomeriggio della Maria Theresien Straße, per veder svanire ideologie e nostalgie austroungariche. «Debatte? Keine Debatte», dibattito, nessun dibattito. «Chiamiamola con il giusto nome, è tutta propaganda!». Afschin Solaeman, medico nel capoluogo del Tirolo, mangia un gelato alla fragola e s’indigna: «Il doppio passaporto agli italiani è l’ultima delle nostre priorità». «Ne parlano solo i media, i politici l’anno scorso in campagna elettorale», aggiunge Markus Renk, libraio 48enne.
Il progetto della cittadinanza ai sudtirolesi è scritto nel programma di governo, è un pallino irrinunciabile della destra. Ma tra gli indifferenti, c’è anche chi è contrario: «Se ne parla in un momento sbagliato – spiega ancora il libraio -. Assistiamo a nazionalismi crescenti e a odi razziali diffusi, non è ora di un argomento così divisivo».
Come dire, la questione è tanto urgente, da poter essere rimandata oltralpe. Gli altoatesini «stanno bene in Italia, dove pagano le tasse. Non hanno bisogno di essere austriaci», puntualizza Biagio Tedesco, cuoco di Potenza («18 nipoti da buon meridionale, da 45 anni lavoratore a Innsbruck») nel caffè-bar Magistrat, dove si gusta la sua pizza a lievitazione naturale. Tra i giovani, poi, il dibattito della doppia cittadinanza fa addirittura sorridere: Tamara Aschbacher, 25enne: «Non ne so nulla. Studio Medicina, i miei compagni altoatesini già oggi hanno i miei stessi vantaggi qui, in Italia non vogliono più tornare, perché gli ospedali non hanno soldi e non ci sono posti di lavoro».
Se oltre il Brennero la polemica non c’è, c’è in Italia. E il governo sul tema sembra non avere le idee chiarissime. Ieri il ministro leghista della Famiglia Fontana, a Trieste, ha dichiarato che «i rapporti con il governo austriaco sono molto buoni, si può discuterne tranquillamente». Poco dopo, il pentastellato Riccardo Fraccaro, responsabile dei rapporti con il Parlamento, ha dato versione contraria: «È da considerarsi un’iniziativa ostile. La condivisione della cittadinanza europea rende quest’atto puramente propagandistico, su un tema così importante non possiamo accettare provocazioni».
E allora? Come finirà?, chiediamo a Paolazzi. «Nell’88 nessuno pensava che a Berlino sarebbe caduto il muro. I passi che stanno facendo a Vienna sono sempre più concreti».
(Letizia Tortello, La Stampa, 09.09.2018)