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Sinodo valdese-metodista 2018. Intervista al moderatore Eugenio Bernardini

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Bilanci e prospettive future saranno fra i temi all’ordine del giorno dei lavori del Sinodo, che aprirà domenica 26 agosto a Torre Pellice (TO). Bernardini: “L’eredità della Riforma: una sfida per il presente; la collaborazione tra le chiese: una buona notizia”
Roma (NEV), 20 agosto 2018 – Nel cuore delle “Valli valdesi” fervono i preparativi per il consueto Sinodo, appuntamento nodale delle chiese valdesi e metodiste. Dal 26 al 31 agosto a Torre Pellice, in provincia di Torino, 180 delegati (pastori e laici) stabiliranno le strategie e le cariche elettive dell’anno a venire. Per saperne di più, l’Agenzia stampa NEV ha raggiunto il moderatore della Tavola valdese, pastore Eugenio Bernardini.

Pastore Bernardini, che bilancio fa, alla vigilia del Sinodo valdese metodista 2018, di quest’anno di lavoro? 

Vorrei partire dalle celebrazioni nel 2017 dei 500 anni della Riforma protestante che hanno avuto ancora un seguito nei primi mesi del 2018. In Italia non si è mai parlato così tanto della Riforma e dei suoi protagonisti, Lutero in testa, ma soprattutto se ne è parlato meglio, non addebitando più a questo movimento tutti i mali della società moderna – come la secolarizzazione, l’individualismo e il relativismo etico – ma ricercando nuove e più positive interpretazioni. Merito anche della chiesa cattolica, e di papa Francesco in particolare, che ha assunto la “sfida” delle celebrazioni, accettando di partecipare e contribuire attivamente a vari eventi e soprattutto deponendo la tesi dello scisma e della divisione per confrontarsi sulle prospettive del cammino comune anche con le chiese figlie della Riforma. La recente visita di papa Francesco a Ginevra, in occasione del 70° della fondazione del Consiglio ecumenico delle chiese, è stata la conferma di un’attenzione non effimera, non diplomatica, ma impegnativa per tutti. Insomma, l’eredità della Riforma protestante non riguarda solo la riscoperta del passato, grande e spesso sofferto, ma soprattutto è una sfida per il presente, la sfida di comprendere e vivere l’Evangelo nella libertà, nella responsabilità e nella comunione.
Come pensa che le chiese metodiste e valdesi debbano/possano rapportarsi alla politica, in questo momento storico?

Certo è un periodo difficile per le chiese cristiane europee che hanno fatto della responsabilità sociale un loro tratto caratteristico. Dopo anni di crisi economica, sono aumentate incertezze e paure e il “sovranismo” nazionale (o nazionalistico) è diventata la parola magica della politica. Io penso invece che l’Europa abbia bisogno di maggiore unità, maggiore collaborazione reciproca e maggiore solidarietà interna ed esterna ai confini europei. Per le chiese cristiane c’è molto da fare sia sul piano del servizio a coloro che sono più fragili socialmente sia sul piano dell’educazione e predicazione: aggredire rabbiosamente il prossimo non ha niente a che vedere col dire la verità e brandire i simboli religiosi della tradizione cristiana non ha niente a che vedere con l’insegnamento del Vangelo.

Quali criticità stanno affrontando le chiese del terzo millennio? Quali sono secondo lei le soluzioni possibili a queste criticità? 

In Europa le chiese della grande tradizione occidentale sembrano non intercettare più il bisogno religioso di massa e stanno diventando (se non lo sono già) chiese di minoranza. Questo riporta le chiese all’origine della loro missione apostolica, che è quella di essere sale della terra e luce del mondo, e quindi inevitabilmente chiese di minoranza la cui sola forza sta nel messaggio di cui sono portatrici e non nel sostegno politico che possono avere. Ma non possiamo consolarci con questo pensiero, dobbiamo pensare che la situazione di crisi in cui ci troviamo sia anche un segno della nostra infedeltà e pochezza di fede. Infatti, c’è poco da essere orgogliosi se non si riesce a testimoniare al prossimo la gioia del discepolo cristiano e la speranza che dona incontrare la grazia di Gesù Cristo. Credo che l’unica via sia quella di coltivare meglio la spiritualità cristiana radicata nella Scrittura e nel servizio, cercando di essere più accoglienti e disponibili all’ascolto.

I percorsi di giustizia, pace e integrità del creato, quindi la tutela dei diritti umani e dell’ambiente, sono da tanti anni nell’agenda protestante. Pensa che questo momento di particolare fervore ecumenico possa portare un’accelerazione su questi obiettivi e una maggiore attenzione alle strategie che i protestanti nel mondo hanno perseguito in questi anni?

Al primo posto dell’agenda protestante c’è l’annuncio dell’evangelo della grazia, che comprende anche la responsabilità sociale e quindi l’impegno per la giustizia, la pace e l’integrità del creato. Il movimento ecumenico, nato in ambito protestante già all’inizio del Novecento, ha sempre dato molta importanza alla crescita della fiducia e della comunione reciproca delle chiese proprio a partire dal loro servizio per il mondo. E quindi sì, l’ecumenismo non è solo una buona notizia per le chiese perché è una forte terapia di cura delle sofferenze patite per la divisione polemica, soprattutto del passato, ma è una buona notizia anche per chi non è interessato a un percorso di fede cristiana perché la collaborazione tra le chiese rende più efficace il loro servizio.
(Elena Ribet, Nev.it, 20 agosto 2018)

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