A guardarlo è un abito da sposa, dei più classici. Su tutto quel bianco c’è una nota che stona, però. Proprio sul seno, dove il tessuto è strappato, come mangiato dal fuoco, dà un’idea precisa di violenza. Ai piedi, uno strascico sfilacciato. Non ci sono perline, quella coda è fatta di bambole di pezza. Sono i giochi dell’infanzia.
Non appena nella mente l’immagine si schiarisce, l’effetto è quello di un pugno allo stomaco. Lei è una sposa bambina. La vedi, comincia quasi a muoversi. Cammina impacciata e impaurita. Accanto a sé ha un uomo maturo. E quel vecchio tra poco sarà suo marito. L’associazione di idee è disturbante ma è voluta.
L’abito fa parte di una mostra che l’Accademia delle Belle Arti di Catania dedica ad “Agata Martire Coraggiosa”, la patrona della città, in questi giorni di inizio febbraio in cui ricorrono le celebrazioni. Nelle fonti agiografiche, le tracce della tortura di Agata. Bambina anche lei, martirizzata a soli quindici anni, per volere del proconsole Quinziano che la vergine aveva osato rifiutare. La santuzza siciliana è esempio antico di quei No che le donne pagano con la vita.
La mostra vuole fare dei tessuti e dei drappeggi esposti al Palazzo dei Chierici, a due passi dal Duomo, un nodo, una trama, che leghi il dramma delle vittime di matrimoni forzati al martirio della patrona.
Quell’abito bianco “è un grido per dire che le bambine devono giocare e studiare non venire sposate a chi potrebbe essere, per ragioni anagrafiche, il padre o il nonno. Secondo alcune stime delle Nazioni Unite nel mondo ci sono circa 60 milioni di spose bambine, ragazze che si sposano prima di aver compiuto quindici anni. In Turchia, che ritiene di avere i requisiti per entrare nell’Unione Europea, le autorità religiose hanno dichiarato lecita questa pratica”. A parlarcene è una giurata d’eccellenza, Marinella Fiume. Donna poliedrica, la scrittrice che fu sindaca di Fiumefreddo nel catanese, è da sempre in prima linea nell’impegno civile. Qui è chiamata a osservare, valutare, scegliere tra i costumi in mostra. La sua è una voce cristallina. Fiume ha raccontato le donne in tanti modi. In Celeste Aida ha saputo fare letteratura dell’omicidio di una bambina di cinque anni, morta per mano degli adulti che avrebbero dovuto proteggerla.
I numeri sono altissimi. Il fenomeno è radicato in molti paesi, più o meno lontani dal nostro. L’Unicef in un rapporto del 2015 individua il Niger, la Repubblica Centroafricana, il Chad e il Bangladesh come luoghi in cui le percentuali raggiungono anche picchi del 76 percento.
L’India, secondo i dati Save the Children, è il paese con il più alto numero di spose bambine, con il 47% delle ragazze, più di 24,5 milioni, sposate prima di aver compiuto i 18 anni. Numerosissimi peraltro sono i casi in cui le spose bambine hanno meno di 10 anni e quelli in cui vengono promesse fin dalla tenerissima età di 6 mesi (Rapporto Save The Children Every Last Girl: Free to live, free to learn, free from harm). .
Nel mondo la pratica può assumere forme diverse. Il misyar, per esempio. È detto anche matrimonio del viaggiatore ed è diffuso soprattutto nelle aree a vocazione fortemente turistica. Si pensi all’Egitto. Qui uomini adulti, ricchi e provenienti perlopiù dai paesi che si affacciano sul Golfo Persico, usano sposare “a tempo” le ragazzine egiziane. Si tratta di un matrimonio che ha una durata prestabilita e che coincide con il periodo di vacanza dell’uomo. Il vincolo si scioglie quando lo sposo ritorna al proprio paese d’origine. Un automatismo che non lascia tracce. Nessun legame, né obblighi nei confronti della “moglie”. Nulla, nemmeno in caso di gravidanza, se non il prezzo della dote (50mila lire egiziane, pari a 6.380 dollari) imposta per decreto dal 2015 agli uomini stranieri, se la differenza di età con la sposa è di 25 anni o più.
Sotto i bombardamenti, in Yemen, si può poi andare spose a 11 anni per qualche soldo da usare per sfamare la famiglia.
Ma purtroppo non è un fenomeno esotico: in Italia il caso che più di recente ha fatto cronaca è quello di una ragazzina di Torino. L’hanno chiamata Rashida, per proteggere la sua privacy. Egiziana, quindici anni. Una mattina di meno di un anno fa, da scuola, chiama il Telefono Azzurro. Il racconto che fa è quello di un matrimonio imposto con la forza. Quelle nozze si sarebbero celebrate di lì a qualche giorno, nonostante i pochi anni di lei e contro la sua più ferma volontà. Apprendiamo oggi che Rashida non è andata in sposa a nessuno, ma che è ancora ospite di una comunità protetta. Non può far ritorno in famiglia, almeno finché su tutta la vicenda la magistratura non avrà fatto chiarezza.
Sì perché il dramma è dentro le mura di casa e la responsabilità va cercata nei genitori.
È successo ancora a Firenze, a settembre. È capitato di nuovo a Palermo, dove dal mese di dicembre si è costituito un Osservatorio. Al tavolo, in Prefettura, oltre al Tribunale per i minorenni anche la Presidente della Consulta delle Culture. Si cercano risposte per far cessare una pratica che coinvolge le più piccole e indifese tra tutte.
Minorenni violate, tre casi che a tracciarli sulla cartina ripercorrono l’Italia del terzo millennio, in una linea rossa che va da nord a sud. Questa dunque non è soltanto la storia di Rashida. Ed è storia di tutti i giorni. Ogni anno si parla di 15 milioni di matrimoni nel mondo in cui la sposa è una minore. Una bambina su tre ha meno di 15 anni.
In Italia il fenomeno è, almeno in parte, una novità. Comincia ad espandersi e insieme ad emergere. Tra le comunità dei migranti, ma anche nelle baraccopoli, negli insediamenti Rom può accadere di accorgersi che la dispersione scolastica, quando coinvolge le ragazzine, spesso nasconda matrimoni forzati. Ci mettono in guardia le scuole, i servizi sociali.
Quante ce ne siano da noi, di spose bambine, è un conto che non sappiamo ancora fare. Non ci sono dati strutturali, né si registrano indagini statistiche. C’è però l’associazionismo. Trama di Terre, attraverso il progetto Matrimoni Forzati, centra il tema e prova ad aggiornare il quadro. Quello che viene fuori è che l’azione di contrasto a questi abusi travestiti da matrimoni è una battaglia difficile, perché difficile è arrivare a toccare il sommerso. La denuncia è vissuta dalla minore intanto come un tradimento nei confronti della famiglia d’origine. Spezza un legame di sangue e insieme è violazione di una legge antica. Per le bambine, quando non è impossibile, è certamente dolorosissimo riconoscere che i carnefici siano i genitori. Gli adulti sono portatori di decisioni che hanno il peso della ritualità e delle convenzioni, che si accettano senza discutere, ma che troppo spesso rispondono alle logiche dell’economia spicciola.
Un punto fermo in tutte queste storie, tuttavia, c’è di sicuro. E bisogna che rimanga tale. Al centro della questione c’è la tutela delle minori che è principio irrinunciabile. Non vi si può derogare, in nome di nessuna cultura, etnia, né credo religioso.
“Ogni bambina ha il diritto di essere protetta e trattata con giustizia dalla famiglia, dalla scuola, dai datori di lavoro anche in relazione alle esigenze genitoriali dai servizi sociali, sanitari e dalla comunità. Ha diritto di essere tutelata da ogni forma di violenza fisica o psicologica, sfruttamento, abusi sessuali e dalla imposizione di pratiche culturali che ne compromettano l’equilibrio psico-fisico”: apre così, nei suoi primi due articoli, la Carta dei diritti della bambina, un documento nato dall’associazionismo femminile, approvato a Reykjavik nel 1997, all’indomani della Quarta Conferenza Onu di Pechino che – ci ricorda ancora Marinella Fiume – “ha l’obiettivo di abbattere il muro della discriminazione di genere e attribuire alla bambina fin dalla nascita le stesse opportunità dei coetanei maschi”. Oggi più che mai rimane attualissima la necessità di darvi esecuzione puntuale.
Nel nostro paese la legge è chiara, non ci si sposa prima di aver compiuto i 16 anni. Serve, nelle eccezioni, l’autorizzazione del magistrato e occorre che a farne richiesta sia proprio il minore, al quale, anche se non in regola, vanno riconosciuti tutti i diritti garantiti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (1989). Lo straniero che abbia meno di 18 anni può ottenere nel nostro paese un permesso che può assumere molteplici forme giuridiche: per minore età, per affidamento, per motivi familiari, per protezione sociale, per richiesta di asilo, per asilo; è suo diritto quello di ricevere in Italia un’istruzione adeguata, di frequentare le scuole di ogni ordine e grado, così come di accedere all’assistenza sanitaria, alle cure mediche, alla prevenzione. Il superiore interesse del minore è la regola attorno alla quale costruire ogni decisione; tutti i ragionamenti che lo riguardano devono rispondere a quell’esigenza primaria.
Da qualche tempo l’Europa comincia a porsi il problema in maniera più attenta. Sotto il profilo legislativo, in tutti gli Stati dell’Unione l’età fissata per il consenso al matrimonio è la maggiore età. Non c’è omogeneità tra le legislazioni, però. Alcuni paesi hanno fatto di più e hanno scelto di introdurre il reato di matrimonio forzato. Così l’Austria, il Belgio, la Bulgaria, la Danimarca, la Germania, ma anche la Gran Bretagna, la Norvegia, la Spagna, Ungheria, Lussemburgo, Portogallo, Svezia e Slovenia. A Malta, a Cipro e in Francia anche i matrimoni di convenienza sono perseguiti penalmente.
In Germania la costrizione al matrimonio è un’aggravante della violenza privata. Non in Italia. Nel nostro paese non esiste il reato di matrimonio forzato, non c’è una legge specifica, si applicano le norme generali. I reati che vengono commessi per costringere una giovane donna alle nozze sono tuttavia delitti per la maggior parte perseguibili d’ufficio. Quel vincolo poi, anche dal punto di vista del diritto civile, è annullabile perché ha in sé il vizio di un consenso estorto.
L’abolizione dei matrimoni infantili, precoci e forzati comincia pian piano a figurare tra le priorità dell’azione esterna dell’Unione Europea. E si guarda alla questione per quello che è, ossia una chiara violazione dei diritti umani. Così, nella primavera del 2015 il Parlamento europeo chiede alla Commissione di promuovere un’analisi più dettagliata della situazione, proprio al fine raccogliere dei dati aggiornati e favorire l’emersione.
Solo in Italia le stime parlano di oltre duemila ragazze nate qui e costrette a sposarsi negli Stati di origine; sono oltre ventimila le minorenni che ogni giorno diventano madri nei paesi del Sud. Come in una trappola, le minori vengono imbarcate per un viaggio che le darà in spose, in luoghi in cui quei matrimoni non sono vietati.
Il fenomeno viene finalmente inquadrato dentro alla più ampia questione della discriminazione di genere e della violenza nei confronti delle donne. E il 4 ottobre scorso viene approvata dal Parlamento europeo una Risoluzione che sin dal titolo si propone l’Eliminazione del matrimonio infantile, riconosciuto finalmente come una forma di matrimonio forzato. Il passaggio logico non si contesta: sulla premessa che i bambini, vista la loro età, sono assolutamente privi della capacità di acconsentire pienamente, liberamente e consapevolmente al matrimonio, ogni unione che li coinvolga è un abuso.
Si fotografa il dato: i soggetti più a rischio sono le ragazze, raggiungono da sole l’82 % dei minori interessati. Vengono in luce le forti pressioni sociali cui le bambine sono esposte, devono dare dimostrazione di fertilità. La conseguenza è che con le gravidanze precoci e frequenti si fa altissimo il tasso di mortalità infantile, specie tra i 15 e i 19 anni: le bambine che muoiono a causa di complicazioni durante la gravidanza e il parto sarebbero 70.000, secondo le ultime stime Unicef. Inoltre le bambine sotto i 15 anni hanno 5 volte più probabilità di morire durante la gestazione rispetto alle donne tra i 20 e i 29 anni. Inoltre un bambino che nasce da una madre minorenne ha il 60% delle probabilità in più di morire in età neonatale, rispetto a un bambino che nasce da una donna di età superiore a 19 anni. E, anche quando sopravvive, sono molto più alte le possibilità che possa soffrire di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici.
È una tratta cui bisogna opporsi. Perciò serve anche informare, fare prevenzione, sensibilizzare. E rispondono a questo scopo manifestazioni come la mostra dedicata alla piccola santa siciliana.
A dirla con le parole di Quentin Wodon, ricercatore della Banca Mondiale che ha condotto uno studio sull’impatto economico di quegli abusi per l’ultimo Dossier di Terres des Hommes, “mettere fine a questa pratica non è solo la cosa giusta da fare ma è anche la cosa più utile, da un punto di vista economico. Il matrimonio precoce non solo spegne i sogni e le speranze di una ragazza, ma ostacola gli sforzi per sconfiggere la povertà”.
Le ragioni per fare cessare questo orrore ci sono davvero tutte.