lunedì, Novembre 18, 2024

Il popolo argentino non dimentica mons. Angelelli

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).
Tra il 18 luglio e il 4 agosto 1976 si vissero giorni funesti nella città argentina di Chamical, nella provincia e diocesi di La Rioja, quando furono assassinati mons. Enrique Angelelli, i padri Carlos Murias e Gabriel Longueville  e un laico, Wenceslao Pedernera.

Ricordando il 42^ anniversario del massacro, a Chamical, è stato reso omaggio alle vittime con diverse celebrazioni e messe, con una serata culturale per conoscere meglio la loro vita e la loro opera e un pellegrinaggio ai luoghi dove vennero assassinati. Carlos Murias era un frate francescano argentino, vicario di Chamical mentre Gabriel Longueville era un presbitero francese, parroco della stessa località.

Furono sequestrati, torturati e assassinati insieme il 18 luglio 1976, poco tempo dopo l’instaurazione della dittatura militare in Argentina, nota come Processo di riorganizzazione nazionale, che iniziò con il colpo di stato del marzo 1976. Lo stile pastorale dei due religiosi si caratterizzava per l’opzione preferenziale per i poveri e l’attenzione ai contadini, segnati dalle forti differenze sociali ed economiche della zona.

Padre Murias, in una delle sue ultime omelie, disse: “Potranno far tacere la voce di questo sacerdote. Potranno far tacere la voce del vescovo, ma non potranno mai far tacere la voce del Vangelo”. Nel 2012 un tribunale argentino condannò all’ergastolo un ex comandante dell’esercito, un ex capo della polizia e un ex militare per crimini contro l’umanità, ritenendoli colpevoli dell’omicidio dei due religiosi.

Wenceslao Pedernera era invece un contadino che organizzò il ‘Movimento rurale cattolico’ e collaborava abitualmente con il vescovo Angelelli. Il 25 luglio 1976 quattro uomini incappucciati entrarono nella sua casa in provincia di La Rioja e lo uccisero sparandogli di fronte alla moglie e alle figlie. Wenceslao ebbe solo parole di perdono per i suoi carnefici e invitò la sua famiglia a non serbare loro rancore. Furono numerose le messe e gli omaggi che si organizzarono in onore di questi uomini assassinati.

Durante un’omelia del 22 luglio mons. Angelelli ricordò che “questo sangue è felice, sangue martire, versato per il Vangelo, per il nome del Signore, e per servirvi e annunciarvi la buona novella della pace, la buona novella della felicità… Quando vi insultano, vi perseguitano, vi calunniano nel Suo nome, sentitevi felici, perché i vostri nomi sono già scritti nel cielo”.

Per anni la morte di mons. Angelelli è stato camuffata come incidente stradale, finché, nel 2009, il caso è stato riaperto e sono stati condannati all’ergastolo due alte cariche dell’esercito con l’accusa di aver commesso il crimine. L’anno successivo è stata avviata la fase diocesana della sua causa di beatificazione.

Il 3 luglio 1968 papa Paolo VI nominò mons. Angelelli vescovo della diocesi di La Rioja. La sua vita episcopale non fu facile, perché sin dal primo momento la sua opera e presenza pastorale tra i sindacati, i contadini, gli operai e gli studenti fu giudicata da molti come ‘un magistero irresponsabile e ideologico’.

Durante il Concilio Vaticano II prese parte ad un gruppo di 40 padri conciliari alle catacombe di Domitilla, per celebrare un’eucaristia e per sottoscrivere un documento, poi denominato ‘Patto delle catacombe’, con un elenco di 12 impegni individuali di povertà che i firmatari si impegnano a vivere nel proprio ministero pastorale: la rinuncia ad abiti sfarzosi, a titoli onorifici, a conti in banca, ad abitazioni lussuose.

Il 4 agosto 2006, in occasione del 30^ anniversario della sua morte, mons. Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, celebrò a La Rioja una celebrazione eucaristica, nella cui omelia ricordò gli ‘indimenticabili giorni trascorsi a La Rioja’, parlando del profondo legame di amore che univa il vescovo con il suo popolo e si riferì a mons. Angelelli come “un pastore innamorato della sua gente che lo accompagnava nel cammino, fin nelle periferie, geografiche ed esistenziali…

Vedemmo il dialogo di un laicato vivo, forte con il suo pastore… Furono giorni in cui ricevemmo la saggezza di un pastore che dialogava con il suo popolo e vedemmo lo scherno che questo popolo e questo pastore ricevevano, semplicemente per seguire il Vangelo… uomini e donne liberi da compromessi, ambizioni, ideologie, per quali il Vangelo era il commento della propria vita. M’incontrai con una Chiesa perseguitata, interamente, popolo e pastore”.

E che oggi la sua figura è ancora ‘disturbante’ si evince dall’editoriale dello scorso 30 luglio di un giornale argentino, ‘La Nacion’, che mette in discussione anche papa Francesco per aver autorizzato ‘una beatificazione del tono politico-ideologico’: “Angelelli non costituisce in alcun modo il modello di esemplarità cristiana che la Chiesa chiede per avviare un processo di canonizzazione”.

A tale ‘provocazione’ la Chiesa locale ha reagito con decisione: “(Ad Angelelli) volevano zittirlo con minacce e con la morte. Sono riusciti a trasformarlo definitivamente in un profeta che va oltre i limiti della sua diocesi e della nostra patria, la cui voce continuerà a risuonare in ogni angolo dell’America Latina”.
(Simone Baroncia, korazym.org, 11 agosto 2018)

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