La tragedia di Genova è il simbolo della pericolosa debolezza strutturale del nostro Paese. Con il ponte è crollato ogni limite della decenza. Sono morte tante persone, vittime di un qualcosa di incredibile le cui cause dovranno essere accertate nelle sedi competenti. E mentre c’è un’Italia commovente che ancora rappresenta una speranza, quella dei soccorritori, c’è un’altra Italia, quella creata dalle forze politiche populiste da un lato e ignave dall’altro, che ora chiede immediato conto a queste ultime.
In questo momento, per questa Italia superficiale e arrabbiata, la priorità non sono le vittime, i loro cari, la popolazione di Genova colpita in maniera indiretta e devastante, ma l’individuazione immediata dei responsabili. Così, questa Italia senza pudore, si riscopre sotto l’ombrellone esperta di ingegneria, di contrattualistica, di ecologia, di viabilità, chiedendo a gran voce interventi e punizioni esemplari. E la politica, quasi tutta, debole strutturalmente, fornisce risposte con tweet, post sui social e annunci roboanti, non per assumersi responsabilità ma per addossarne. Crollano così tutte quelle strutture culturali e giuridiche che normalmente sostengono un paese democratico.
La sintesi di questo crollo sta tutta nelle parole del Presidente del Consiglio, che riprendendo pedissequamente quanto detto subito dopo la tragedia dai leader delle due forze politiche di maggioranza, ha affermato che “Non possiamo attendere i tempi della giustizia penale“. Occorre dunque indicare subito i responsabili, darli in pasto alla famelica richiesta del popolo di una giustizia rapida ed esemplare. Poco importa se così facendo le persone più danneggiate saranno proprio le vittime, che hanno il diritto di conoscere la verità in maniera inoppugnabile e duratura, e non una verità rivelata, caduca perché fondata su nulla di concreto, svelata da chi non ne ha né la competenza né il ruolo per accertarla.
Purtroppo continua a essere alimentata l’idea che, per colpa di una serie di bizantinismi e di diritti anacronistici, non possa essere “fatta giustizia” in tempi ragionevolmente brevi, consentendo ai responsabili di cavarsela.
È un’idea sciatta, populista e superficiale, ma soprattutto molto pericolosa, perché fa crollare la struttura fondante di uno stato di diritto. Alcune forze politiche poi confondono o unificano la responsabilità penale con quella civile, amministrativa o politica: è un espediente, usato da parte di chi questa differenza la conosce, e una manifestazione di pericolosa ignoranza, da parte di chi questa diversità non la conosce.
Un rapido processo penale sui media, aiutato in questo caso persino dagli imputati virtuali con la loro disastrosa e algida gestione della comunicazione, con l’individuazione e la punizione (verbale) dei responsabili in ventiquattro ore, è un’ottima distrazione di massa per non affrontare argomenti politici più spinosi, soprattutto con il proprio elettorato: le grandi opere, la possibilità di costruire nuove opere invece di manutenere quelle vecchie, la ricerca di un punto di equilibrio tra la tutela dell’ambiente e il progresso economico, la possibilità di avere infrastrutture moderne e capillari che consentano lo sviluppo di tutta l’Italia, il coraggio di prendere decisioni senza condizionamenti da parte degli esperti da tastiera.
Quali saranno le reazioni quando qualcosa (anzi, più di qualcosa) non andrà come con tanta sicumera è stato annunciato finora?
Sarà colpa dei precedenti governi, dei magistrati, degli avvocati, dei contratti, delle “leggi fatte per tutelare gli imputati”, della lungaggine dei processi civili e penali. Insomma, sarà colpa degli altri. Nel frattempo alle vittime e agli imputati sarà negata la serietà e la serenità di un processo penale svolto senza condizionamenti o intrusioni.
(Giorgio Varano, Huffingtonpost, 17.08.2018)