39468 MILANO-ADISTA. È giunto il momento di «abbandonare questa enciclica». Non lascia scampo a equivoci il giudizio sull’enciclica Humanae vitae, di cui ricorrono i cinquant’anni, diffuso in una nota dal movimento Noi Siamo Chiesa.
Nell’introduzione, viene rilevato come nell’avvicinarsi del 25 luglio, il giorno in cui il testo fu firmato da Paolo VI, si siano intensificati gli interventi su Avvenire e sull’Osservatore Romano per mostrare la coerenza e la continuità del messaggio di allora con la tradizione della Chiesa: ultimi in ordine di arrivo, Lucetta Scaraffia e Pierangelo Sequeri, preside dell’Istituto teologico per le scienze del matrimonio. «Questa linea – si legge nella nota di Nsc – ci appare sconcertante e ci insinua il sospetto che sia stata ispirata per confermare un pesante statu quo. O forse per cercare di “nascondere” il principale errore del pontificato di Paolo VI in vista della sua santificazione il 14 ottobre?». Per Noi Siamo Chiesa, è evidente che ci sono determinati settori che stanno usando la memoria storica (recente) per spingere la Chiesa di Francesco a non proseguire lungo il cammino di apertura tracciato (seppure con alcune contraddizioni) nell’esortazione apostolica Amoris laetitia. Per questo motivo, gli estensori della nota sentono il bisogno di fare alcune precisazioni.
Innanzitutto, si fa presente come a cinquant’anni di distanza i limiti e gli errori di Humanae vitae «appaiono ingigantiti rispetto a quelli che apparvero nel momento stesso in cui fu emanata». Tra i principali: «la sottovalutazione del ruolo della coscienza e della responsabilità personale della coppia in decisioni che siano conseguenza di una valutazione complessiva delle circostanze concrete in cui essa si trova, a partire da quelle più semplici e frequenti (difficoltà materiali a mantenere ed educare adeguatamente i figli); il valore assoluto di una norma che si pretende inderogabile sempre e dovunque e che si pretende fondata sul diritto naturale (sempre più discusso e controverso!) di cui la Chiesa si ritiene unica vera interprete; la preminenza assoluta del fine procreativo nel rapporto di coppia rispetto a quello del reciproco rapporto fondato sull’affetto, sulla solidarietà, sulla comunanza di vita, sul piacere sessuale; la difficilmente comprensibile differenza qualitativa tra metodi naturali e metodi artificiali di contraccezione; la pretesa della continuità e irreformabilità del magistero in materia di morale (fatto contraddetto, in modo ben conosciuto, dalla storia della Chiesa); il linguaggio a senso unico laddove parla solo di “paternità responsabile” e non di “maternità responsabile”».
La nota ricorda poi quale fu la contrastata genesi dell’enciclica. Resa pubblica il 29 luglio 1968, Humanae vitae chiudeva quella lunga discussione sulle legittimità dei metodi contraccettivi che Giovanni XXIII aveva voluto tenere fuori dai lavori del Concilio. Dagli studi storici è emerso che la commissione tecnica voluta da Roncalli per discutere del tema aveva dato parere favorevole alla pillola anticoncezionale, ma fu Paolo VI che decise di non avvalersi di tale (autorevole) parere. La ricezione del testo papale fu davvero aspra, prima da parte della stampa (compresa parte di quella cattolica) e poi nel pubblico dissenso di intere Conferenze episcopali, che condannavano la distanza della dottrina sessuale di papa Montini dalle aperture conciliari in materia di famiglia e di autodeterminazione della coscienza, e dalle trasformazioni nella società. Il Concilio Vaticano II aveva riconosciuto il valore dell’amore coniugale, di fatto ponendolo al di sopra della sua funzione procreativa: rispetto a questo genere di teologia, Humanae vitae era un arretramento evidente. Si è parlato quindi di un’enciclica fuori fase e di fatto fallita, come avrebbero dimostrato le successive inchieste sulle pratiche sessuali dei credenti. Proprio su questo punto insiste Noi Siamo Chiesa, che parla di «una esplicita non receptio da parte della generalità delle coppie del popolo cristiano che è continuata da allora senza interruzioni e in modo geograficamente diffuso». «Essa è stata tale – prosegue la nota – che, a quanto ci risulta, ormai le prescrizioni dell’enciclica non sono più oggetto della confessione sacramentale. C’è stata una rimozione collettiva e generalizzata del problema dei metodi della contraccezione. Ci siamo trovati di fronte a un sensus fidelium che si è fatto interprete di una comprensione del Vangelo diversa e più “umana” di quella fatta dal sistema ecclesiastico nella persona del papa». Conclude il ragionamento, «tutto ciò pone il problema generale di come la teologia morale debba determinarsi al di là delle competenze canoniche»: e quindi, più in generale, quale deve essere l’atteggiamento della Chiesa del presente in materia di sessualità.
A giudizio degli estensori, i primi anni Duemila mostrano «segni nuovi rispetto ai quali la questione della contraccezione artificiale ci sembra cosa di ben poco conto»: «La permanente difficile condizione della donna nel rapporto di coppia in cui la precarietà, determinata dalle condizioni sociali e anche culturali, gioca quasi sempre a suo sfavore; le cosiddette “nuove famiglie”; la condizione dei divorziati risposati; le unioni omosessuali; tutte le questioni poste dalla procreazione con metodi non naturali e via di questo passo». Nella valutazione di Noi Siamo Chiesa, l’accanimento della Chiesa sulle questioni bioetiche (per certi aspetti, iniziata proprio con Humanae vitae) pone il problema di riscoprire invece la natura sociale e dunque universale del messaggio cristiano di liberazione: «Chi si attarda a elucubrare sulla continuità del magistero dalla Casti Connubii alla Familiaris Consortio dalla Humanae vitae in poi fa delle acrobazie inutili e si colloca in una posizione di retroguardia, buona solo per alzare le proprie bandiere identitarie o solo preoccupata dell’ortodossia ecclesiastica ben lontana dalle attese del Popolo di Dio».
La nota si chiude ricordando che «l’Amoris laetitia, che ha contraddizioni che sono state rilevate sia dai tradizionalisti che da alcune aree di progressisti di ispirazione conciliare, sicuramente non risolve tutti i problemi e, tuttavia, si sforza di indicare una strada alternativa a quella precedente». E conclude: «Speriamo e supponiamo che il Vaticano e le strutture ufficiali della Chiesa, nell’ipotesi comprensibile che non vogliano criticare esplicitamente l’enciclica, usino almeno questo cinquantenario per dimenticarla. Essa dovrebbe diventare ormai parte solo della storia della Chiesa». Se tra le premesse vogliamo mettere però anche le parole pronunciate dal papa di fronte al Forum delle associazioni familiari il 16 giugno – per esempio, aborto uguale “eutanasia in guanti bianchi” (v. Adista Notizie n. 24/18) –, viene difficile credere che tale auspicio possa trovare davvero un terreno fertile.
(Alessandro Santagata, Adista Notizie n° 29 del 04/08/2018)