domenica, Dicembre 22, 2024

Gli immigrati delinquono di più? Falso

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Una delle convinzioni che vanno per la maggiore è che gli extracomunitari hanno una maggiore propensione al crimine. Peccato che non sia vero. In realtà è esattamente il contrario

Tempo fa Il Giornale pubblicava un pezzo carico di enfasi («Tenetevi forte» era l’ incipit) per affermare che «i migranti delinquono di più». Come spesso accade quando si parla di immigrazione, si affrontava un tema complesso in modo troppo semplificatorio.

Nel testo viene citato uno studio della Fondazione Hume curato dal sociologo Luca Ricolfi, ma i dati – senza contesto – possono avere significati diversi. Per esempio: «Dal 2006 al 2015 gli immigrati imputati sono cresciuti del 22%». Ma nello stesso periodo il numero di residenti stranieri è cresciuto molto di più: da 2,7 a 5 milioni, ovvero dell’ 88%. Ancora, parlando dell’ aumento delle violenze sessuali dal triennio 1995-1997 al 2013-15, «il boom è degli imputati immigrati – riporta il quotidiano – che sono passati da 317 a 1050», ovvero sono triplicati; ebbene, dal 1995 al 2015 i residenti stranieri sono cresciuti di circa sette volte, passando da meno di 700 mila a 5 milioni. Ecco allora che il trend storico rivela una conclusione molto diversa dall’ articolo: l’ incidenza degli imputati stranieri sul totale dei residenti stranieri è andata diminuendo nel tempo.

Se proprio si volesse stabilire un nesso causale tra immigrazione e reati, bisognerebbe sostenere che l’ aumento degli stranieri degli ultimi anni coincide con una generale diminuzione dei reati. Dal 2007 al 2015, mentre gli stranieri passavano da 3 a 5 milioni, tutti i principali indicatori con cui misuriamo la criminalità sono diminuiti: le denunce di delitti, cioè dei reati più gravi, secondo l’ Istat sono scese da 2,9 milioni a 2,6. Mentre il numero di furti è rimasto praticamente invariato, sono diminuiti gli omicidi (fonte: ministero dell’ Interno), mai così pochi dall’ Unità d’ Italia, le rapine e le violenze sessuali. Inoltre, secondo il Viminale, dal 2004 al 2014 le denunce per reati con autori noti – circa la metà – sono cresciute del 34,3% contro gli stranieri (a fronte di un aumento del 147,3% degli stranieri in Italia) e del 40% contro gli italiani (a fronte di una leggera diminuzione dei residenti italiani).

Rimane il dato sull’ alta presenza di stranieri nelle carceri. Spiega Paolo Pinotti, coordinatore della Fondazione De Benedetti e docente di Economia alla Bocconi: «Riflette anche il minor accesso degli stranieri agli istituti alternativi alla detenzione, come gli arresti domiciliari. In particolare, tali opzioni sono sostanzialmente precluse agli stranieri irregolari». In questo senso, per il docente dell’ Università milanese «è sostanzialmente incorretto affermare che non c’è spazio per discriminazioni né da parte dei giudici né delle forze dell’ordine, come sostiene lo studio di Solivetti, perché le statistiche non possono essere messe in discussione». Pinotti cita un dato del 2011: «Il 30,7% degli italiani condannati a pene detentive ha beneficiato di misure alternative, mentre per gli immigrati questa percentuale scende al 12,7%. Questo perché spesso gli immigrati spesso non soddisfano le condizioni richieste per le misure alternative al carcere, come avere un lavoro regolare, un domicilio, una famiglia in grado di ospitare l’individuo».

Accedere o meno a questa possibilità può determinare il futuro: secondo l’ Osservatorio delle misure alternative del Dipartimento dell’ Amministrazione Penitenziaria, nel 2007 la recidiva di chi espiava tutta la pena in prigione era oltre tre volte superiore a quella di chi scontava la condanna con misure alternative alla detenzione: il 68,5% nel primo caso, il 19% nel secondo. Inoltre va considerato che gli stranieri hanno una condizione socioeconomica mediamente più bassa: pagarsi un buon avvocato o avere quello di ufficio fa, in alcuni casi, la differenza. È la stessa ragione per cui, negli Stati Uniti, i poveri e gli afroamericani sono in percentuale particolarmente alta tra i condannati a morte.

L’ articolo del Giornale si conclude affermando: «Chi non si integra socialmente ed economicamente ha più probabilità di ricorrere al crimine». Questo è vero e infatti da qui occorre partire per una seria riflessione sul tema. Lo fa uno studio della Bocconi sul rapporto tra permessi di soggiorno e propensione a commettere reati, coordinato da Pinotti e pubblicato sulla prestigiosa American economic review. Spiega il professore: «Gli stranieri che ottengono il permesso di soggiorno sono del 50% in meno propensi a commettere reati economici gravi (furti, rapine, spaccio) rispetto a chi non ha potuto mettersi in regola». Per il Viminale, infatti, gli stranieri regolari hanno dati di criminalità in linea con gli italiani, mentre crescono drasticamente tra chi è senza permesso. Gli irregolari sono stimati il 20% degli stranieri in Italia, ma sono protagonisti dell’ 80% dei reati economici commessi da stranieri.

Che fare dunque? Le ricerche sono molto chiare: «Quando ottengono i documenti, gli stranieri assumono comportamenti molto più virtuosi. Potersi inserire regolarmente nel mercato del lavoro – per cui è necessario il permesso – fa da deterrente a invischiarsi in situazioni criminose. Il problema è, appunto, ottenere i documenti».

Dal 1998 il Governo stabilisce, con il Decreto flussi, ogni anno quanti permessi per motivi di lavoro possono essere concessi. Negli ultimi anni i numeri si sono ridotti, quasi azzerando la possibilità di ottenere permessi per lavoro. Nel dicembre 2007 la procedura è stata per la prima volta online: i datori di lavoro potevano cliccare la domanda dalle 8 di mattina. I permessi avrebbero dovuto essere assegnati a stranieri residenti all’estero, ma tutti sanno che in realtà il click day ha legalizzato chi già era in Italia senza documenti. Spiega Pinotti: «Funzionava un po’ come una lotteria, il criterio di accettazione era casuale: chi prima arriva, meglio alloggia. Pochi minuti hanno fatto la differenza, dato che furono accolte le domande arrivate prima delle 8.27, legalizzando 170mila stranieri su 610mila irregolari in Italia». La Bocconi ha analizzato i reati commessi dagli immigrati che hanno inviato la domanda immediatamente prima del taglio e da coloro che l’ hanno inviata subito dopo le 8.27, quindi individui molto simili. «Per i reati economici – continua il docente – la criminalità degli immigrati legalizzati si è dimezzata nel corso dell’anno successivo, mentre il tasso di criminalità di chi non ce l’ ha fatta è rimasto invariato. Non cambiano le caratteristiche dei due gruppi, ma ricevere il permesso di soggiorno abbassa la propensione a commettere crimini, che sono sostituti imperfetti di attività economiche legali». Tra l’ altro, molte delle domande si basavano su lavori falsi, cioè “fittizi” e strumentali al click day. Eppure la propensione ai reati economici si dimezza anche in questo caso: avere l’accesso al mercato del lavoro legale è sufficiente per innescare il cambiamento, anche se l’immigrato legalizzato non ha realmente un lavoro.

La tesi che spinge per la regolarizzazione è al centro di un altro lavoro di Pinotti insieme al collega Giovanni Mastrobuoni, che nel 2016 è aggiudicato il premio dell’ American Economic Association. Racconta: «Abbiamo studiato i dati dell’ indulto dell’ agosto 2006, che ha rilasciato 22mila detenuti dalle carceri italiane (10mila dei quali stranieri). Nel gennaio 2007 l’ allargamento dell’ Ue dava a rumeni e bulgari lo status di regolari, inclusi coloro che uscivano dalle prigioni. L’ anno successivo il tasso di recidiva dei rumeni e bulgari (tutti regolarizzati) è risultato la metà di quello degli altri stranieri rilasciati dopo lo stesso indulto».

Del resto, ciò che dicono le ricerche scientifiche è anche scritto nella nostra storia. Negli anni Cinquanta i giudici minorili svizzeri aprirono un pacato dibattito sull’ esagerato coinvolgimento dei minori italiani in procedimenti penali; ci si chiese se non vi fosse una propensione culturale della popolazione italiana al furto, un’ idea avvalorata a quei tempi da molta letteratura europea. Il dibattito si esaurì man mano che gli italiani immigrati in Svizzera diventavano gelatai e aprivano pizzerie, attività per cui era necessario avere il permesso di soggiorno.

Insomma, “tenetevi forte”… 

Regolarizzare gli immigrati dimezza il tasso di criminalità.

(Stefano Pasta, Famiglia Cristiana, 16.07.2018)

 

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