Gerusalemme, 21 agosto 2018, Nena News – Uri Avnery ha commentato la realtà intorno a lui e le politiche di Israele fino agli ultimi giorni della sua lunga vita. Lo scorso aprile su CounterPunch aveva condannato con forza il fuoco dell’esercito israeliano sui manifestanti palestinesi della Grande Marcia del Ritorno. E avrebbe scritto ancora tanto se lo scorso 4 agosto non l’avesse  fermato un ictus. Uri Avnery si è spento nella notte tra domenica e  lunedì all’ospedale Ichlov di Tel Aviv. Il prossimo 10 settembre avrebbe  compiuto 95 anni.
 Definire, come hanno fatto molti ieri, Avnery il pacifista più noto di Israele è riduttivo, non rende onore a un giornalista, scrittore, opinionista e personaggio politico che pur dichiarandosi un sionista, convinto dell’importanza di uno Stato dove accogliere gli ebrei, per decenni ha criticato il Sionismo e difeso con sincerità il diritto  del popolo palestinese di rendersi libero, sovrano e indipendente sulla  sua terra.
Nato a Beckum in Germania nel 1923 (con il nome di Helmut Ostermann),  Avnery ha scritto molti libri. In uno di essi, “Israele senza sionisti”  del 1968 (pubblicato due anni dopo da Laterza, con la prefazione di  Antonio Gambino) racconta la sua vita ma anche aspetti poco noti, almeno  in Italia, delle attività violente e terroristiche dei militanti  sionisti, soprattutto di quelli di destra. Lui da adolescente fece parte proprio della destra radicale, dell’Irgun. Ne uscì nel 1942 perché, avrebbe spiegato anni dopo, «non mi piacevano i metodi di terrore applicati dall’Irgun». Nel 1946, prima della fondazione di Israele, cominciò a parlare di  “Hishtalvut BaMerhav” (integrazione nella regione) ossia di uno Stato  ebraico non allienato all’imperialismo e al colonialismo ma inserito nel  “Merhav HaShemi”, lo “spazio semitico”, immaginando un’alleanza tra arabi ed ebrei in Palestina, Transgiordania, Libano, Siria e Iraq.
Dopo la guerra del 1948 e la Nakba palestinese lavorò al quotidiano Haaretz e nel 1950 comprò la rivista HaOlam HaZeh che  sarà per decenni il megafono delle sue idee. Le sue posizioni critiche  della politiche governative si rafforzarono dopo la crisi di Suez del  1956 con l’invasione del Sinai da parte di Israele. Nel 1965 Avnery  entrò nella Knesset alla testa di un partito che portava il nome della  sua rivista. Fu rieletto una seconda volta quattro anni dopo. Stanco dei  partiti, fu attivo diversi anni dopo nella “Lista progressista per la  pace” che sosteneva un Israele non più Stato ebraico ma Stato  binazionale.
Il suo nome divenne famoso in tutto il mondo quando nel  1982, sotto i bombardamenti di Israele che aveva invaso il Libano, corse  a Beirut per intervistare e stringere la mano al presidente dell’Olp  Yasser Arafat. Per la prima volta che il capo dell’Olp si rivolse agli israeliani. Nell’intervista, pubblicata da Liberation,  Arafat affermò che «la Palestina è per diritto dei palestinesi»…ma può  essere «un paese per voi e per noi insieme» e si disse pronto a  dialogare con tutte le forze progressiste israeliane, avvertendo però  «non potete costringerci ad accettare le teorie sioniste…nessun popolo  può essere dominato con la forza delle armi». Avnery per quell’incontro fu indagato in Israele per violazione delle leggi antiterrorismo e diseredato dalla madre.
In coincidenza con la firma degli Accordi di Oslo del 1993 tra Israele e Olp, Avnery fondò Gush Shalom, un movimento a sostegno dei Due Stati, con Gerusalemme capitale per  palestinesi ed ebrei. Negli anni successivi avrebbe visto con disappunto  evaporare questa soluzione per l’incessante colonizzazione dei  Territori palestinesi e altre politiche di occupazione. 
(Nena News, di Michele Giorgio – Il Manifesto, 21 agosto 2018)
