giovedì, Novembre 28, 2024

Abbiamo intervistato don Biancalani, il prete più odiato dagli xenofobi d’Italia

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

 

Tra minacce, post di Salvini, colpi a salve e lettere firmate ‘Quarto Reich’, è un anno che la destra sta col fiato sul collo del prete di Vicofaro e della sua comunità d’accoglienza.

In questi anni “l’emergenza immigrazione” ha avuto svariati simboli e contenitori: Laura Boldrini e le sue “risorse,” Cecile Kyenge, le Ong, e molti altri. Fra questi simboli, almeno nell’ultimo anno, c’è stato sicuramente don Massimo Biancalani—il prete che manda avanti il progetto d’accoglienza della parrocchia di Vicofaro, a Pistoia. 
Di punto in bianco, Biancalani è passato dall’essere un normale parroco di provincia a uno dei bersagli preferiti della destra, in qualità di supposto portabandiera del “cattolicesimo pro-migranti.” È successo in particolare quando, la scorsa estate, si è macchiato di uno degli affronti più imperdonabili per la logica leghista anti-immigrazione: portare alcuni migranti in piscina.
I post di Matteo Salvini e l’attenzione morbosa di svariate trasmissioni televisive hanno poi fatto il resto, creando una specie di icona-bersaglio: quello del prete “pro-migranti “di Pistoia e del suo progetto di accoglienza “senza regole,” che nel corso del tempo è stato rivoltato come un guanto con tanto di inchieste, reportage e dibattiti in tv
Forza Nuova, ad esempio, l’agosto scorso aveva organizzato una specie di protesta silenziosa durante una messa tenuta da don Biancalani, e nel corso del tempo le polemiche su Vicofaro si sono continuamente auto-alimentate. In più, si è cercato di sminuire e infangare il suo progetto di accoglienza in ogni occasione, sfruttando notizie che sarebbero in altri casi passate in cavalleria. Come quando un ragazzo del centro era stato trovato in possesso di hashish; o dopo una rissa all’interno della struttura in cui un ragazzo aveva minacciato un compagno di stanza con un coltello
La tensione attorno a Vicofaro, insomma, è cresciuta nel corso del tempo. Pochi mesi dopo l’episodio della piscina, le gomme delle biciclette utilizzate dai ragazzi della struttura sono state tutte tranciate. Sul profilo Facebook di don Biancalani si sono sommati i commenti irosi e violenti di moltissimi utenti, e alla parrocchia di Vicofaro hanno continuato ad arrivare mail e lettere di minacce e insulti.

Qualche settimana fa, infine—ma solo per ora, statene certi—due 13enni hanno sparato dei colpi a salve con una pistola scacciacani contro un migrante, Buba Ceesay, che si trovava fuori dalla parrocchia. Gridandogli “negro”. Una volta individuati, i due ragazzi hanno sostenuto che il movente non fosse razzista, e che si trattasse di un’innocua “goliardata.”
Per capire come si sta evolvendo la situazione, e come sono cambiate la sua vita e quella della comunità dopo essere entrate nel mirino della destra, sono andato a Vicofaro per incontrare don Biancalani.
VICE: Che tipo di situazione si vive adesso a Vicofaro, dopo quest’ultimo episodio che ha rimesso la parrocchia al centro del dibattito sull’immigrazione e il razzismo?
 
Don Massimo Biancalani: Per rispondere a questa domanda bisogna, secondo me, guardare a monte della questione, analizzando tutto quello che è successo nell’ultimo anno. Io non condivido la giustificazione che è stata data a quest’ultimo avvenimento, cioè la goliardata. Non è accettabile, perché c’è qualcosa di più profondo. I due ragazzini che sono venuti a sparare a salve certamente non sono stati mossi da un movente ideologico, ma hanno assorbito il clima che si respira attorno a Vicofaro e in generale nel paese. Un clima che è dato da un certo tipo di politica, e da un certo tipo di linguaggio utilizzato dai media.
Immagino ad esempio come siano state condizionate in questi anni le famiglie che la sera guardava programmi come Dalla Vostra Parte o Quinta Colonna. Quelli di Dalla Vostra Parte, per dirne una, sono venuti qui e hanno realizzato un servizio in cui lasciavano intendere che questo fosse un covo di drogati e di violenti. È il filtro comunicativo che si è inasprito sempre di più.
E non si è dovuto attendere Salvini per vederne i primi esiti: già con Minniti si è notato come stava cambiando la situazione. Ora, non ho gli strumenti sociologici per poter inquadrare perfettamente il fenomeno, ma è innegabile che esista. Finora immaginavo che potesse fermarsi a certi ambienti o situazioni di conflittualità o marginalità: ma si sta radicando nella società comune. Questo episodio dei due ragazzini, secondo me, ne è rappresentativo. 
E i ragazzi che fanno parte del progetto come la stanno vivendo? C’è la consapevolezza di essere al centro dell’attenzione? C’è paura?
In tutto abbiamo 120 ragazzi, e il livello di partecipazione è di vario tipo. C’è chi lavora e quindi viene qui solo per dormire, e chi invece si tiene alla larga da certe questioni. Anche perché ci sono molti giovanissimi. Altri, però, hanno una percezione politica e sociale più precisa. E partecipano a questa situazione quanto noi. C’è chi si espone e racconta la propria storia durante le interviste, chi cerca di dare il supporto che può all’interno del progetto. Ma in generale mi rendo conto, osservandoli, che arrivando in Italia non si aspettavano di trovare una situazione così negativa.

Dopo il post dell’estate scorsa Salvini l’ha inserita fra i simboli del problema-migranti. Attirando un’attenzione enorme su una realtà provinciale come quella di Vicofaro, alimentata poi da episodi che si sono protratti per tutto il corso dell’anno. Si è sentito usato dalla propaganda di destra?
Indubbiamente c’è stato un incremento gigantesco di attenzione nei nostri confronti dopo il post di Salvini dell’anno scorso. Ho ricevuto insulti e minacce. Ma comunque ci tengo a sottolineare che non mi sento solo.
Se si tratta di parlare, di confrontarsi, e dialogare con i media sulle buone pratiche di accoglienza io non mi nascosto. Noi stiamo facendo una battaglia. E il mio atteggiamento, pur nello sconforto di alcune situazioni, è quello di continuare a testa bassa. 
Molti le muovono la critica che un prete non dovrebbe esporsi così tanto politicamente. Che in un paese laico la questione dell’immigrazione devono trattarla le istituzioni, e che i preti non devono prendere il posto dei politici. Nel messaggio cristiano è connaturata una dimensione politica. Quindi certo che faccio politica. La faccio nel senso del suo valore alto: Paolo VI diceva che la politica è tra le forme più alte di carità. Quindi se per politica si intende la passione per l’uomo, per le condizioni sociali, e per il bene della comunità, io faccio politica.
Per un prete occuparsi del prossimo è normale. Fa parte dei suoi doveri. Sono semplicemente un parrocco attento a quello che mi accade intorno. E nel 2015, in seguito all’appello del Papa, io ho aperto la mia chiesa. E ci siamo inseriti in un contesto, quello dell’accoglienza, in cui c’era un vuoto semi-assoluto. Quindi le critiche sul rispetto dei ‘campi’ sono assurde.
Lei si è sentito poco sostenuto, o incoraggiato, dalla Chiesa?
Non la metterei così. Ho ricevuto anche grandi attestati di stima: da parte del cardinale [di Agrigento] Montenegro, ad esempio. Ma c’è anche una parte della Chiesa—sia quella che proviene più da ambiti seminaristici, che quella più radicata nel tessuto locale—che non mi vede esattamente di buon occhio. Nel contesto locale io posso contare sull’amicizia di pochissimi preti. La verità è che sono un prete un po’ “particolare.”

In che senso?
Già a partire dal 2008 le mie iniziative hanno iniziato a far discutere. Organizzavo progetti integrativi con i rom, e la destra cristiana non ha tardato a farsi sentire. Poi abbiamo creato quello che—almeno all’epoca—era un’esperienza unica nel panorama cattolico italiano: abbiamo inserito un gruppo di persone dichiaratamente omosessuali all’interno del percorso di fede della nostra parrocchia. Cercavamo di trovare elementi di sostegno e unione, integrandoli. Oggi esistono parrocchie gay-friendly all’esterno del circuito della Chiesa, esperienze molto belle, ma noi all’epoca cercavamo di creare una situazione “interna” alla parrocchia.

E infatti si è spesso scontrato con la destra cattolica e con quella estrema. Prima ancora dell’esperienza di Vicofaro, ho letto che gli esponenti locali di Forza Nuova minacciarono un presidio di fronte alla sua parrocchia a causa di certe sue idee riguardo al contatto fra cattolici e musulmani. Giusto?Esatto, c’erano stati dei precedenti. Presentammo il nostro progetto di accoglienza, e avevamo previsto anche uno spazio di preghiera da destinare agli ospiti di religione musulmana. Noi sostenemmo un modello basato sulla condivisione degli spazi comuni. La mia idea è di fare un’accoglienza che prevede un’ospitalità nel senso classico—cibo, riparo, conforto—ma anche nel senso spirituale.
In quell’occasione io parlai della preghiera individuale: invece che farla in una stanza o in corridoio, i migranti musulmani nella mia idea dovevano avere uno spazio—visto che noi abbiamo una chiesa enorme—dove poter raccogliersi e pregare in un contesto dignitoso. E molti giornali parlarono del “prete che apre la chiesa ai musulmani.” Lì arrivò una botta molto forte: ricevemmo critiche riguardo al fatto che il nostro era un approccio troppo “avanzato.” 
Un’altra critica che le muovono è sulla “poca trasparenza” del suo progetto. Le persone si chiedono dove prenda i fondi per ospitare così tante persone, e chi siano gli operatori che seguono i percorsi di inserimento e integrazione.Qualche giorno fa nel consiglio pastorale di una chiesa qua vicino qualcuno ha detto, “Eh, don Biancalani ha tutti quei migranti, chissà quanti soldi prende.” Chiariamo: finora ho potuto portare avanti questa grande apertura perché ho cercato di utilizzare i fondi nel modo più parsimonioso possibile. Nasciamo come piccolo progetto di accoglienza, in accordo col prefetto Ciuni. Lui mi ha aiutato a mettere su una piccola associazione nel 2015, e dopo pochi mesi abbiamo accolto due nuclei di migranti: dieci a Ramini [una frazione di Pistoia], e dieci a Vicofaro.
A quel punto, in quanto realtà d’accoglienza, iniziammo a ricevere i famosi 35 euro al giorno. Io non dovrei neanche dirlo—perché i soldi dovrebbero essere destinati in modo preciso—ma in questi anni ho utilizzato quei fondi per accogliere più persone [di quelle previste]. Ho pagato le utenze, il cibo, e i bisogni. Certamente contando sul fatto che qui non paghiamo l’affitto, ma comunque non è stato semplice. Non ci avvaliamo di operatori a pagamento, ma di professionisti volontari che non ci costano niente. In questo modo ho potuto accogliere 100 persone.
Quali altre ripercussioni ha subito in questo anno, oltre a quelle finite sui giornali?Ho ricevuto diversi messaggi e lettere di insulti e minacce di morte. Addirittura una lettera firmata “Quarto Reich” in cui chi scriveva sosteneva che la mia unica fortuna era di essere lontano da Roma, altrimenti me la sarei vista brutta.
Poi ci sono state le illazioni e le notizie fake, che forse sono anche peggio. Su Facebook, qualche tempo fa, girava un post diffamante in cui mi si vedeva con un braccio intorno alle spalle di un ragazzo che ospitiamo. E sopra c’era scritto “Don Biancalani ammette: ‘Ho avuto numerosi rapporti sessuali con i miei ragazzi. Non è un reato! Anche Dio approva l’amore!'” come se fosse una mia dichiarazione. Ovviamente è in corso una denuncia, e voglio arrivare alla fonte di questo post. 
Come vede il futuro del progetto di Vicofaro?
Come ti dicevo, la politica locale e nazionale può forse attaccare il progetto di accoglienza appellandosi alle normative. Perché ora siamo tanti, e bisogna constatare che i metraggi siano giusti per il numero di ospiti. È una questione delicata, perché per me è come dire che una parrocchia non può fare la parrocchia a causa dei locali inadatti.
Per il resto, non so cosa succederà. Anche perché il nostro modello di accoglienza non piace a molti: siamo praticamente soli. Oltre a chi si oppone all’accoglienza, infatti, diamo fastidio anche alle cooperative perché utilizziamo molte meno risorse di loro. Ci definiscono un modello di accoglienza poco serio, ma la verità è che accogliamo tutti i ragazzi che loro scartano.

(Niccolo Carradori, Vice, 14 ago 2018)

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