38663 ROMA-ADISTA. In un contesto di grande entusiasmo che ha attraversato trasversalmente credenti e non credenti è stata celebrata, il 4 settembre scorso, la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta.
Un evento atteso, auspicato, ma nella pratica già compiuto, si può dire, da prima che la religiosa morisse, il 5 settembre 1997, al quale si è giunti poi in tempi rapidi, con la beatificazione ad appena sei anni dalla morte, nel 2003.
Sulla opportunità della canonizzazione di Madre Teresa, tuttavia, le opinioni sono sempre state divise, perché controversa è stata la sua figura. Sono stati molti, infatti, anche in questa occasione, a ricordare «il lato oscuro» di Madre Teresa, già messo in evidenza in passato in alcune inchieste documentaristiche rimaste celebri.
Un lungo articolo di Maxime Bourdier sull’edizione francese dell’Huffington Post (4/9) ricorda l’articolo velenosissimo del giornalista anglo-americano Christopher Hitchens, che denunciò, nel 2003 sulla rivista Slate, la visione «ultrareazionaria, fondamentalista, anche in termini cattolici ortodossi» di Madre Teresa riguardo all’aborto (definita nel 1994 «la più grande minaccia per la pace»), alla contraccezione e al divorzio (nel 1996 si impegnò perché in Irlanda non passasse la legge che lo avrebbe consentito, ma poi si disse contenta del divorzio della sua amica principessa Diana d’Inghilterra, infelice nel suo matrimonio). La sua concezione del matrimonio e della famiglia, rilevò in un articolo del 2010 la rivista cattolica francese Témoignage chrétien, era fortemente in ritardo rispetto ai tempi: «La donna – questa l’idea di Madre Teresa – è stata creata per amare ed essere amata, è il centro della famiglia. Se oggi esistono problemi gravi, è perché la donna ha abbandonato il suo posto in seno alla famiglia».
A sollevare perplessità è anche l’approccio della religiosa alla sofferenza degli ultimi, che non doveva essere curata ma glorificata, come testimoniò una ex volontaria, dopo una permanenza nella comunità nel 2009: i malati non vengono curati (viene somministrata aspirina ai malati di cancro, il medico passa una volta alla settimana), l’igiene è carente, le religiose non hanno alcuna competenza medica e non inviano i malati gravi nelle strutture ospedaliere.
Hemley Gonzalez, altro ex volontario, dichiarò alla CNN che quando propose di installare un boiler per lavare i malati con acqua calda, gli venne risposto: «Qui non si fa così. È la volontà di Gesù». Tutto ciò, rilevò anche un’inchiesta di Radio Canada del 2013, non per carenza di fondi (la congregazione ha risorse finanziarie enormi, passate su diversi conti correnti), ma per la concezione della sofferenza di Madre Teresa.
E proprio la gestione delle finanze è un altro capitolo oscuro. A partire dai donatori, sui quali la religiosa non battè mai ciglio: dal regime dittatoriale di Jean-Claude Duvalier di Haiti, che, milionario in un Paese ridotto all’estrema povertà e accusato di crimini contro l’umanità, le diede un grande sostegno, al finanziere miliardario, cattolico integralista americano Charles Keating, uno dei più grandi truffatori della storia americana, che ingannò più di 20mila piccoli risparmiatori e che Madre Teresa difese al processo nel 1992. Problematiche le sue amicizie con i potenti della Terra, come le immagini dei fiori portati sulla tomba del dittatore albanese Enver Hoxha. Le viene anche rimproverato di non aver mai attinto alle finanze della comunità per dare un aiuto alle popolazioni colpite in India dai disastri ambientali o dopo il disastro di Bhopal, ma di aver investito il denaro nella fondazione di conventi.
Le critiche, tuttavia, non vengono soltanto veicolati da ambienti laici. Il 3 e 4 settembre scorsi Tv2000, canale televisivo controllato dalla Conferenza episcopale italiana, ha mandato in onda – ne parla, ovviamente con toni indispettiti, la rivista Tempi, vicina a Comunione e Liberazione (7/9) – un documentario di produzione francese che descrive luci e ombre della santa, illustrando, tra l’altro, come le case delle Missionarie della Carità siano luoghi fatiscenti, dove le persone prossime a morire vengono assistite nella loro agonia, ma non curate né aiutate a non soffrire, e come Madre Teresa fosse ossessionata dalla sofferenza, oltre a avanzare dubbi sul destino delle donazioni.
Su questi elementi insisteva l’Huffington Post già nel marzo scorso (16/3), in un articolo della giornalista indiana Krithika Varagur che riportava i dati di una ricerca condotta dall’Università di Ottawa che “sfaterebbe” il mito della nuova santa. «Nonostante tutte le sue 517 missioni, che al momento della sua morte erano state organizzate in 100 diversi Paesi del mondo – spiegava l’Huffington – la ricerca ha scoperto che praticamente nessuno di coloro che vi si era recato alla ricerca d’assistenza medica l’aveva poi effettivamente ricevuta. Le condizioni che vi si potevano osservare erano non igieniche, “perfino inappropriate”, l’alimentazione inadeguata, e gli antidolorifici assenti, non certo per mancanza di fondi, nei quali l’ordine di Madre Teresa, famoso in tutto il mondo, in realtà sguazzava, ma in nome di quella che gli autori della ricerca definiscono la sua “peculiare concezione della sofferenza e della morte”. “C’è qualcosa di meraviglioso nel vedere i poveri accettare la propria sorte, sopportandola come se si trattasse della Passione di Cristo. Il mondo ha parecchio da guadagnare dalla loro sofferenza”: lo dichiarò Madre Teresa a un Christopher Hitchens tutt’altro che entusiasta».
L’accanimento che si registra nei confronti della suora, commenta Varagur, «potrebbe apparire meschino, se non fosse per quella che è stata l’incessante campagna condotta dalla Chiesa per renderla qualcosa di più di ciò che fu. Una campagna che partì quando lei era ancora in vita, all’epoca in cui il giornalista antiabortista inglese Malcolm Muggeridge si accollò la croce di curare l’immagine pubblica di Madre Teresa, prima con un documentario agiografico del 1969, poi con un libro pubblicato nel 1971. Fu lui ad avviare il movimento d’opinione per andare a collocarla nel “regno del mito” più che in quello della storia». «L’immagine di Madre Teresa – conclude la giornalista indiana – rappresenta un reperto della supremazia bianca occidentale. La sua glorificazione avviene a scapito della psiche collettiva indiana, della mia psiche indiana. E di un miliardo di indiani e della diaspora a cui è stato inculcato il concetto che quando sono i bianchi ad aiutarci è diverso, è meglio. A cui è stato insegnato che una conversione forzata non è poi questo gran problema ».
Al di là degli osanna e delle critiche, più o meno feroci, alla religiosa ormai santa, può essere utile ricordare quanto la teologa Adriana Zarri scrisse nel 1997, spiegando il fenomeno Madre Teresa: «Si ebbe un curioso incrocio tra orientalismo formale e occidentalità sostanziale. Le suore di Madre Teresa vestivano in sari e salutavano graziosamente a mani giunte e, nel contempo, sposavano la teologia vaticana. E Madre Teresa, decorata dal Nobel, veniva strumentalizzata senza scrupolo dai promotori delle campagne contro la legalizzazione del divorzio, dell’aborto e via dicendo. E la candida suora ci stava, probabilmente per ingenuità. Le missionarie della carità, nel frattempo si moltiplicano e si moltiplicano anche le onorificenze decretate alla sua fondatrice: dal Nobel in giù moltissime (troppe?) con finanziamenti offerti dai grandi di questo mondo. (…). E i grandi della Terra seguitano a vendere i loro capitalistici pesci, mettendosi in pace la coscienza con danaro ed onorificenze. Madre Teresa è probabilmente troppo candida per comprendere il gioco. E ringraziando Duvalier lo definiva “protettore dei poveri”. Alla sua ingenuità forse appariva tale. Si moltiplicano anche le amicizie prestigiose: come quella per Diana, di cui giustifica il divorzio, dopo averne osteggiato la legalizzazione nell’Irlanda del 1995. Incongruenze e ingenuità dei santi» (v. Adista Documenti n. 64/97).
(Ludovica Eugenio, Adista Notizie n° 31 del 17/09/2016)