Dopo 90 giorni sulle montagne russe il governo gialloverde c’è. Alle 21 di ieri Giuseppe Conte è salito al Colle per ricevere l’incarico. La lista dei ministri, stilata non da lui ma da Salvini e Di Maio da giorni e corretta ieri in un lungo vertice, era già pronta. Giureranno oggi stesso alle 16: Mattarella ha fretta, vuole che la partita sia chiusa prima del ricevimento al Quirinale di stasera. Un’ora e mezza prima, salutato da un del tutto inusuale applauso dei giornalisti, Cottarelli aveva informato di aver rimesso l’incarico, aggiungendo che la via del governo politico è «di gran lunga la migliore».
A SBLOCCARE LA PARALISI il consenso della Lega e del diretto interessato allo spostamento di Paolo Savona dal Mef alle Politiche comunitarie. E’ un ministero di peso molto minore, tanto che sino all’ultimo secondo la risposta del professore è sembrata incerta. Invece ha accettato, probabilmente perché la sua presenza nel consiglio dei ministri e alla guida di un ministero che dovrà occuparsi d’Europa influenzerà comunque la politica economica. Un po’ come quando Scalfaro mise il veto alla nomina di Previti alla Giustizia e l’avvocato si «accontentò» della Difesa mettendo però spesso bocca negli affari di via Arenula.
Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è di area Forza Italia, vicino a Brunetta e Sacconi. Critico con l’euro e molto critico con la Germania ma senza vagheggiare uscite dalla moneta unica. Tiepido col reddito di cittadinanza, più coinvolto dalla Flat Tax, da introdurre gradualmente e finanziandola se necessario anche con l’aumento dell’Iva. I rapporti tra lui e l’ingombrante Savona sono una delle incognite del governo.
GLI ESTERI VANNO all’europeista molto gradito al Colle Enzo Moavero Milanesi. I due leader, oltre a ministeri importantissimi e di massima visibilità come gli Interni per Salvini e l’accorpamento-monstre tra Lavoro, Politiche sociali e Mise per Di Maio, saranno anche vicepremier. Solo un sottosegretario a palazzo Chigi, Giancarlo Giorgetti, che dovrebbe quindi prendere anche la delega ai servizi segreti.
In cambio del «sacrificio» la Lega incassa anche una promozione rilevante: Giulia Bongiorno, prevista ai Rapporti col Parlamento che saranno invece appannaggio del 5S Fraccaro, guiderà il ben più pesante ministero della Pubblica amministrazione. Una casella chiave e rimasta sino all’ultimo in ballo, il ministero delle Infrastrutture, è stata conquistata da M5S col capo dei deputati Toninelli, mentre la collega del Senato Giulia Grillo avrà la Sanità. Alla Lega, con Bussetti, spetta l’Istruzione.
L’ULTIMO SCOGLIO è stato il ministero della Difesa. Doveva essere il prezzo dell’ingresso in maggioranza di FdI, con Giorgia Meloni ministra, che avrebbe rafforzato la scarna maggioranza gialloverde, appena sei senatori, e messo con le spalle al muro nella coalizione di centrodestra, che formalmente ancora esiste, Berlusconi. Salvini aveva tessuto la tela già da mercoledì sera. Ieri, quando sia lui che sorella Giorgia avevano disdetto gli impegni di campagna elettorale per convergere su Roma e poi vedersi a Montecitorio, l’affare sembrava fatto. Il 5S Sibilia, molto vicino a Di Maio, confermava: «Basta che accettino il contratto». Guido Crosetto si limitava ad aggiungere. «Qualcosa nel contratto andrà corretto».
POI, QUANDO SALVINI è passato ad affrontare la faccenda direttamente con Di Maio, tutto è saltato. Per il veto del capo pentastellato, secondo la versione ufficiale. Ma che Salvini si sia spinto tanto avanti senza informare il futuro collega ministro è fuori discussione. A fermare i tre sono stati i parlamentari dell’M5S, che già mercoledì sera avevano mosso critiche severe al leader: «Gli abbiamo fatto un mazzo così», sintetizza una dirigente del Movimento. Con i social che ribollivano di proteste della base e i parlamentari che ordinavano la retromarcia, Di Maio non ha potuto fare altro che prendere atto. «Mai pensato di entrare nel governo», hanno assicurato poi Meloni e Crosetto, probabilmente senza sperare di essere creduti. In ogni caso si asterranno nel voto di fiducia. Una sorta di appoggio esterno che sposta ulteriormente il governo a destra.
LA TRATTATIVA si è svolta con la pistola del Colle carica e puntata. Se l’accordo non fosse stato raggiunto entro sera, Mattarella avrebbe rotto gli indugi procedendo verso le elezioni a luglio. La minaccia, per la seconda volta nel corso della crisi, ha funzionato. Salvini, che non poteva permettersi un voto in estate con i conseguenti terremoti in borsa e con l’aumento dell’Iva dietro l’angolo, si è adeguato. Ma di qui a scommettere sulla solidità del governo così faticosamente partorito ci passa parecchio.