domenica, Novembre 24, 2024

Crimini di guerra e impunità israeliana

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

In conclusione si constata che Israele contribuisce attivamente al declino del diritto internazionale e del diritto umanitario

Robert Charvin (*), 20 giugno 2018

Arié Biro, un sopravvissuto di Auschwitz, comandò un gruppo di paracadutisti israeliani durante la campagna del 1956; con i suoi uomini uccise circa cinquanta prigionieri di guerra. Ha riconosciuto i fatti. Un giornalista gli dice: “Era un crimine di guerra!”. Lui risponde: “D’accordo e dopo?”.

Da ‘Israël, Palestine. Vérités sur un conflit.’

Alain Gresh. Fayard. Del 2007.

Siamo in un periodo di crescente confusione giuridica, interpretazioni e pratiche improprie che, nell’ordine interno e internazionale,  fanno passare standard che sembrano ben piantati in una zona di “soft law”. Questo clima politico-giuridico favorisce l’arbitrarietà dei più potenti [1].

Questa decostruzione del diritto internazionale e del diritto umanitario ha degli attori privilegiati: lo stato israeliano è molto più che un seguace di Washington. I giuristi israeliani hanno un immaginario che influenza gli americani stessi: sono loro, ad esempio, all’origine della nozione delirante di “legittima difesa preventiva”, che altro non è che una nuova definizione dell’aggressione, condannata dalla Carta delle Nazioni Unite!

Sono ancora loro ad aver stimolato il messianismo americano con una sempre più insistente invocazione alla “moralità” man mano che si presenta una violazione della legalità! Israele completa questo falso sostituto del diritto con una pretesa legittimità di tutte le sue azioni basate su radici religiose molto lontane che, se applicate all’insieme delle relazioni internazionali, sarebbero la fonte di una terza guerra mondiale!

Israele, sul piano ideologico, con l’aiuto dei suoi alleati in Europa e negli Stati Uniti, è anche riuscito a imporre in una parte dell’opinione pubblica l’idea che la critica alla politica israeliana sia sinonimo di antisemitismo! Questo oscurantismo quasi ufficiale osa assimilare anti-sionismo e antisemitismo!

Il sito anti-imperialista “Investig’Action”, con sede a Bruxelles, diretto da Collon, editore influente che ha pubblicato libri su Palestina, Libia, Siria e al quale collaboro, è oggetto di numerosi attacchi e azioni penali nel nome di un preteso antisemitismo! Qualsiasi critica allo stato di Israele si ridurrebbe così a un razzismo anti-ebraico, legittimando proibizioni e sanzioni. Perché l’obiettivo è chiaro: bisogna mettere a tacere Investig’Action! Questo caso non è che uno tra gli altri.

Questi tentativi di anestesia dell’opinione internazionale e di “desensibilizzazione” a una politica criminale non possono comunque impedire di stilare un elenco non esaustivo di pratiche che violano la legalità internazionale, in particolare il diritto umanitario, del regime di Tel Aviv, la cui origine, abbiamo la tendenza a dimenticarlo, è il sostegno britannico a un focolare nazionale ebraico in Palestina [2]!

L’unilateralismo israeliano (come quello degli Stati Uniti) e la sua quasi totale indifferenza verso la legalità internazionale è una vecchia storia e i palestinesi non ne sono le sole vittime.

Tutte le relazioni internazionali, in particolare ovviamente le relazioni tra i popoli arabi e l’Occidente, sono interessate. I governi occidentali, in particolare la Francia, che hanno cercato di strumentalizzare i diritti umani e l’umanitarismo per giustificare le loro ingerenze, sono essi stessi turbati dalle pratiche israeliane. Hanno dovuto “banalizzarli” e cercare per convenienza di sviare l’indignazione “umanista” contro altri obiettivi!

Il contrasto è emblematico dell’abituale attitudine degli occidentali a distribuire note buone e cattive all’intero pianeta, tranne che alle “dittature amiche” e …. a Israele [3]!

Le violazioni del diritto da parte di Israele sono tuttavia numerose.

  • Israele è l’ultimo stato a perseguire un processo di colonizzazione diretta attraverso un’accelerata moltiplicazione di “insediamenti” in tutto il territorio palestinese, al fine di rendere la soluzione dei “Due Stati” non praticabile, mentre lo stato “ebraico” in progetto non può lasciare spazio a rilevanti quote di cittadini arabi, nonostante l’evoluzione demografica delle due popolazioni. In assenza del “processo di pace” (che senza dubbio non è mai realmente esistito), c’è un’operazione di frammentazione e dissoluzione dell’intera società palestinese e c’è fin da ora un crimine di apartheid poiché per Israele, ebrei e palestinesi sono qualificati come “razza”.

  • A livello territoriale, possiamo anche ricordare la quasi annessione del Golan siriano, il processo di annessione del Sinai egiziano, l’integrazione della parte palestinese di Gerusalemme e la sua trasformazione (contrariamente alle risoluzioni delle Nazioni Unite) in capitale di Israele. Bisogna aggiungere la costruzione del “Muro”, che sconfina nei territori riconosciuti come soggetti all’Autorità Palestinese, condannata dalla Corte internazionale di giustizia (9 luglio 2004).

  • Israele ha usato unilateralmente la forza armata, senza l’avallo del Consiglio di sicurezza, senza restrizioni. Le sue operazioni militari che minano la sovranità di vari paesi sono numerose, con la complicità degli Stati Uniti e degli Stati europei. Israele si è anche accordato il monopolio regionale nel campo delle armi nucleari, fondato sull’idea di essere l’unico stato ad avere il diritto di possederle, a differenza dell’Iran!D’altra parte, un accoltellamento o il lancio di un razzo sarebbe una minaccia terroristica alla sicurezza di Israele e alla pace regionale e internazionale!

  • Israele non tiene in alcun conto il fatto che la Palestina è uno stato, riconosciuto da più di 130 stati, ammesso all’UNESCO e elevato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite allo status di “Stato non membro” delle Nazioni Unite (risoluzione del 29 novembre 2012). Maltrattando i palestinesi, Israele viola apertamente la Carta delle Nazioni Unite in tutte le sue disposizioni, poiché violando i suoi obblighi legali, questo Stato nega le prerogative di cui gode lo Stato palestinese.


Questa criminalità cumulativa si è “arricchita” dei massacri di marzo 2018 alla barriera di Gaza, “chiusa” da anni dall’esercito israeliano. È passato il tempo in cui le strategie israeliane giocavano su “Hamas” contro “Fatah”! Oggi è giunto il momento per la distruzione di tutte le strutture palestinesi, qualunque esse siano, incluso Hamas qualificato come organizzazione terroristica la cui “pericolosità” deve essere massimizzata. Poco importa che, per la maggior parte, questi dimostranti siano civili venuti in massa per ricordare al pubblico internazionale che esistono e resistono nonostante l’asfissia loro inflitta.

Questi massacri (che hanno provocato centinaia di morti e migliaia di feriti) di manifestanti disarmati (a parte le fionde) non avevano alcuna giustificazione difensiva (sebbene Israele abbia osato invocare la protezione di alcuni villaggi israeliani).

Non sono i primi. Il potere israeliano da sempre usa la forza armata in modo sproporzionato e illegale contro popolazioni civili.

Possiamo ricordarne alcuni che risalgono alle origini di Israele. La carneficina di Deir Yassin, dell’aprile 1948, quando furono assassinati quasi 200 civili, quella di Safsaf, di Salha, ecc. fino alle incursioni aeree o ai massicci bombardamenti di Gaza nel 2006, 2008, 2009, per non parlare delle migliaia di morti nei campi di Sabra e Shatila nel 1982, o delle centinaia di profughi civili (Operazione Grape of Wrath), o della sanguinosa operazione della città di Jenin nel 2002 che fece almeno 200 morti fra i palestinesi, mentre nel diritto, l’occupante è responsabile dell’ordine pubblico del territorio conquistato e della sicurezza dei civili sottoposti a occupazione, e del rispetto delle loro proprietà.

La confisca delle terre, la distruzione delle case, ecc. in Cisgiordania sono ovviamente altre violazioni illecite che sono andate avanti al di là di una qualsiasi necessità militare.

Nel marzo 2018, l’esercito israeliano ha superato tutti i limiti della “proporzionalità” imposta dal diritto: sembra che sia guidato dalla sua superiorità, cosa che lo porta a commettere ciò che la legge internazionale qualifica come “crimini” di guerra” e “crimini contro l’umanità” se non “genocidio “[4].

I crimini commessi nel 2018 sono chiaramente crimini di guerra (Convenzione di Ginevra del 1949, Protocollo addizionale del 1977 (non “ratificato da Israele”), Statuto ICC del 1998. Esistono infatti “crimini di guerra” poiché “attacchi deliberati” sono stati effettuati contro “una popolazione civile”; la qualificazione è rafforzata quando questi attacchi sono “manifestamente eccessivi” in relazione a “tutti i vantaggi militari” previsti (che in questo caso non esistevano affatto)! Si precisa che anche nel caso di presenza militare fra la popolazione civile, l’attacco ai civili rimane un crimine di guerra.

In ogni caso, da molto tempo, vari aspetti della colonizzazione dei territori occupati rientrano nella categoria dei crimini di guerra [5]: si tratta del trasferimento e della detenzione in Israele di “persone protette” ai sensi della IV° Convenzione di Ginevra (cioè, palestinesi arrestati nei territori occupati); l’insediamento di “coloni” israeliani in questi stessi territori; la confisca e distruzione di proprietà; sevizie e uccisioni di “persone protette”.

I membri del personale politico, amministrativo e militare dello Stato che hanno agito nell’esercizio delle loro funzioni possono essere messi sotto accusa. La responsabilità principale è quindi quella dei superiori, avendo i subordinati “l’obbligo legale di obbedire agli ordini”.

Queste personalità responsabili possono essere portate davanti alla Corte penale internazionale, salvo blocco del Consiglio di sicurezza o inerzia molto “politica” del Procuratore, certamente preoccupati di trascinare la procedura all’infinito per non dispiacere agli Stati Uniti.

Se dunque il successo non è garantito davanti alla CPI, c’è la possibilità di utilizzare, là dove sia stato adottato, il principio di “giurisdizione universale” [6] che consente ai tribunali di uno Stato di occuparsi di crimini internazionali come i crimini di guerra, ma l’attuazione di questa giurisdizione è complessa.

Alla fine si torna, purtroppo, davanti alle carenze del diritto, alla solidarietà internazionale e al risveglio della militanza attiva per la causa palestinese, da cui il nostro incontro di oggi! Ciò non significa che il ricorso al diritto non sia un’arma utilizzabile; tuttavia, deve essere appoggiato da una forte copertura mediatica e da una forte volontà politica.

In conclusione si constata che Israele contribuisce attivamente al declino del diritto internazionale e del diritto umanitario, mentre la Palestina, al contrario, per necessità oggettiva è portata a salvaguardarlo e persino promuoverlo: il rispetto del diritto tende a diventare la sua unica difesa.

Ma in questo scontro tra conquistatori e resistenti, tutti possono perdere. La “disumanizzazione” dell’avversario diventa la regola in ogni campo: “i civili uccisi da una parte giustificano i civili uccisi dall’altra”, scrive A. Gresh [7].

Nel corso del tempo, il prolungarsi della colonizzazione, accompagnato dagli abusi sui prigionieri (compreso l’uso “limitato” della tortura, ma legalizzato e praticato comunemente, ha intaccato la società israeliana, abbassato le sue barriere morali e degradato una democrazia che esclude i non ebrei.

Quanto ai palestinesi, la loro capacità di resistenza è eccezionale, ma non può che esaurirsi se rimane isolata, senza un intervento esterno che non sia giudice e parte come lo sono gli Stati Uniti.

Infatti il conflitto israelo-palestinese rappresenta una doppia sconfitta: per un lungo periodo storico, il naufragio di una società israeliana moralmente indegna della Shoah, in un certo senso incoraggiata da falsi amici occidentali. A. Einstein sembra aver avuto ragione quando ha espresso la sua preoccupazione:

“Ho paura di sconfitte interne che lo Stato di Israele comporterà sul giudaismo” con “lo sviluppo di un rigido nazionalismo lontano dalla spiritualità della nostra comunità …”.

I palestinesi, inevitabilmente sconfitti militarmente, potendo contare solo su se stessi dalla Nakba, data la debolezza della “fratellanza” araba e la natura non vincolante delle risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, rischiano di scomparire come entità politica e forse anche come popolo.

A questa doppia catastrofe, l’unica risposta è il risveglio della solidarietà internazionale a favore del popolo palestinese perché, senza correre grandi rischi, si può concludere che “la ragione del più debole è sempre la migliore”.

(*) Professore emerito di diritto, specializzato in relazioni internazionali, Robert Charvin esamina il caso di Israele. Ci ricorda in cosa lo stato coloniale viola la legge. “Un crimine cumulativo che si è arricchito dei massacri di marzo 2018, alla barriera di Gaza.” Robert Charvin sottolinea anche i limiti del diritto internazionale che finora hanno permesso a Israele di godere di un certo grado di impunità. Ma non tutte le speranze sono perdute. “L’unica risposta è il risveglio della solidarietà internazionale per il popolo palestinese”. (IGA)

NOTE:

[1] Tutte le interpretazioni, compresa la più lontana dalla legalità, sono così praticate: L. Fabius, Ministro degli Affari Esteri in Francia nel 2013, e grande amico di Israele, ha potuto dichiarare a proposito della consegna di armi francesi alla ribellione “islamo-democratica” in Siria contro il governo regolare, “non si può sostenere questa o quella considerazione giuridica per dire: si possono fornire armi a Bashar, ma non si può permettere che i resistenti si difendano”? Nessuno sa più cosa rimane in materia di diritto!!

Citato in D. Lagot. Droit international et conflits armés. L’Harmattan. 2013, p. 12.

[2] Nelle parole di R. Falk, ex relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei Diritti umani nei territori palestinesi è “il gesto coloniale mascherato” della Gran Bretagna, che sta all’origine della questione israelo-palestinese (vedi L’Humanité, 13 settembre 2017).

[3] Le acrobazie politiche si sono dunque manifetate, dopo le stragi di marzo 2018 alla barriera di Gaza, in Francia, Gran Bretagna e Germania durante la visita di Netanyahu alla ricerca di riassicurazione di una solidarietà minacciata dagli eccessi del suo esercito! Il presidente Macron ha precisato in questa occasione: “I disaccordi riguardano il metodo, non l’obiettivo” perseguito da Israele, che si tratti dei palestinesi o dell’Iran! I precedenti massacri non avevano chiaramente alcuna reale importanza!

L’onnipresenza israeliana nei corridoi degli organi di governo occidentali è efficace: questo è il caso, ad esempio, degli sforzi di Israele contro il “BDS” (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) che gli israeliani vogliono far criminalizzare!

[4] Il crimine di genocidio è caratterizzato da “l’intento di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso” (Convenzione del 1948). L’intenzione politica dello Stato di Israele di distruggere il popolo palestinese è accertata, ma non ha conosciuto che un inizio di attuazione.

[5] Cfr Geraud de la Pradelle. “La Palestine et le droit international depuis le vote de l’A.G.N.U qui lui reconnaît la qualité d’État non membre », in N. Anderson et D. Lagot (sous dir.). Droit international et conflits armés. L’Harmattan. 2013, p. 83 e s.

[6] Si possono citare la Spagna, il Belgio, i Paesi Bassi, il Portogallo, la Svizzera, la Germania, la Norvegia e la Danimarca, che possono essere proposti per giudicare crimini di guerra.

Vedi i contributi di P. Baudouin, Presidente onorario di FIDH e Jan Fermon, in N. Anderson e D. Lagot (a cura di) La justice internationale aujourd’hui. Vraie justice ou justice à sens unique? L’Harmattan. 2009.

[7] Israël, Palestine. Vérités sur le conflit, op. cit, p. 225.

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

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