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Caro Papa, come madre di un ragazzo gay ti racconto come ho vissuto le tue parole sulla famiglia

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).
Lettera aperta di Dea Santonico del 20 giugno 2018

Caro papa Francesco, ti scrivo dopo aver ascoltato le tue parole al Forum italiano delle associazioni familiari, il 16 giugno: la famiglia, immagine di Dio, è una sola, quella che unisce un uomo ed una donna. Sono mamma di un ragazzo gay. Io e mio marito ci siamo sposati 39 anni fa e abbiamo vissuto insieme con i nostri due figli, Marco ed Emanuele, quella bella avventura, come la chiami tu, che è la famiglia. Un’avventura dove si cresce insieme anche attraverso le difficoltà.

Due anni fa il coming out, inaspettato, di Emanuele. Potevamo seguitare a vivere tranquillamente la nostra vita sentendoci “a posto”, con i nostri molteplici impegni: in realtà di base, nel volontariato con i migranti, nello studio della Bibbia … e invece no. Il coming out di un figlio ti rimette in gioco, cambia tutto, ed è contagioso: anche noi genitori abbiamo fatto il nostro coming out, rompendo quella sfera di ipocrisia che vorrebbe che di quella parte di tuo figlio non si parlasse.

Era il 7 maggio del 2016, quel giorno Emanuele l’ho partorito una seconda volta. Ti invio, di seguito a questa lettera aperta, la mia testimonianza, che racconta quell’esperienza.

Sono qui a scriverti perché le parole che hai pronunciato hanno aperto in me una ferita. E al dolore bisogna dare parola perché non diventi rabbia e rancore.

Se l’amore tra me e mio marito è immagine di Dio, come pensi che possiamo rassegnarci al pensiero che l’amore di Emanuele per un ragazzo nulla possa esprimere di quell’immagine di Dio? No, il nostro amore non potrà mai esprimere l’immagine di un Dio, che sia estraneo e distante dall’amore tra Emanuele ed un suo compagno. Se il loro amore non è immagine di Dio, neanche il nostro lo sarà. Perché noi quel Dio non lo conosciamo.

Ne conosciamo un altro, quello di cui parlava Gesù. Un Dio di parte, che sceglie di condividere il cammino di un popolo di schiavi, che si fa complice dei piccoli, che si schiera con coloro che sono emarginati dai poteri politici e religiosi di tutti i tempi, un Dio che irradia amore, contro ogni ragionevole economia, capace di spogliarsi della sua onnipotenza per tornare dalle sue creature come un medicante di amore, a chiedere una libera risposta di amore.

Semmai ci sarà dato di riuscire ad esprimere un pezzetto di quell’immagine del Dio di Gesù nelle nostre vite di singoli e di coppie, attraverso i nostri amori, tutti imperfetti, “a norma” o “fuori norma” che siano, dovremo farlo in punta di piedi, senza rumore, senza sbandierarla quell’immagine, perché l’immagine di Dio non appartiene a noi né a nessun altro. Non si lascia intrappolare, sfugge ai tentativi degli uomini di possederla e usarla, piegandola ai propri interessi. Scappa dai palazzi dei potenti per farsi trovare dall’ultimo tra gli esseri umani, il più indegno, il più dimenticato, il più emarginato e solo, perché in quell’immagine possa riconoscersi e, riscoprendo quel pizzico di divino che gli è stato soffiato dentro, possa osare esprimerla nella sua vita.

Caro papa Francesco, viviamo in Italia una fase storica e politica molto difficile, che preoccupa i genitori di ragazzi e ragazze LGBT. In tante occasioni tu hai saputo dire parole di speranza. Non ci lasciare soli con le nostre paure.

Con affetto ti saluto e ti auguro buon lavoro

Dea Santonico
(fonte: Progetto Gionata, 22 giugno 2018)

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