Rapporto choc: dall’Italia all’Ungheria accordi coi despoti per frenare i flussi 
Poliziotti che premono il grilletto  contro i migranti in Belgio.   Gendarmi francesi che non si curano di profughe incinte, fino a  provocarne  la morte. Governi che in Ungheria  issano barriere  elettrificate. Paramilitari  della Bulgaria che danno la caccia ai  siriani in fuga. Servizi segreti  impiegati nelle indagini sui  soccorritori  nel Mediterraneo, nella nostra Italia. 
Niente di  strano che un’Europa così si sia messa in affari con 35 tra i più  controversi governi del mondo, pur di sigillare i confini e tenere alla  larga gli ultimi.  Lo sostiene il rapporto “ Expanding the Fortress – Ampliando la Fortezza”, diffuso  dall’istituto transnazionale  ‘Stop Wapenhandel’  (Campagna olandese contro il commercio di armi) e rilanciato  dalla Rete Italiana per il Disarmo. «La collaborazione dell’Ue con i Paesi   limitrofi per il controllo delle migrazioni  ha rafforzato i regimi  autoritari,  fornito profitti alle imprese della sicurezza e ai  produttori di armamenti,  distolto risorse dallo sviluppo e indebolito i  diritti umani», si legge nel dossier.  I ricercatori hanno esaminato il  frequente  ricorso a intese per l’esternalizzazione  delle frontiere. 
Esemplare  il caso della Turchia del presidente Erdogan,  regolarmente criticato  da Bruxelles per le ripetute violazioni delle  libertà fondamentali, ma a  cui sono  stati versati 6 miliardi di euro pur di trattenere in  Anatolia il più alto numero  possibile di profughi siriani. Le misure  adottate dall’Ue includono la formazione delle forze di sicurezza di  Paesi terzi; donazioni di elicotteri, navi  per pattugliamento e  veicoli; cessioni  di apparecchiature di sorveglianza  e monitoraggio;  sviluppo di sistemi di controllo biometrico; accordi  per i  respingimenti. Nella lista, oltre alla Turchia, vi sono Libia, Egitto,   Sudan, Niger, Mauritania e Mali. In tutti questi Paesi, «gli accordi  hanno  portato l’Ue – insistono i ricercatori  – a trascurare o  attenuare le critiche  sulle violazioni dei diritti umani». In Egitto,  per fare un esempio, è stata intensificata la cooperazione per il  controllo delle frontiere con il supporto  del governo tedesco,  «malgrado il consolidamento del potere militare al Cairo». 
In  Sudan, il sostegno per la sicurezza delle frontiere da parte dell’Ue  ha  permesso al presidente Omar al-Bashir (destinatario di un mandato  di  cattura della Corte penale internazionale  dell’Aja) di rompere  l’isolamento  internazionale, «consentendo  di rafforzare le Forze di  supporto rapido, formate da combattenti della milizia Janjaweed»,  responsabili di crudeli crimini contro i civili nella regione del  Darfur. Il dossier esamina da vicino tutti i 35 Paesi a cui l’Ue  attribuisce priorità negli  sforzi di esternalizzazione delle frontiere.  Il 48% (17) ha un governo autoritario e solo quattro possono essere   considerati Stati democratici. Il 100% (35) pone rischi estremi o  elevati per il rispetto dei diritti umani. Il 51% (18) è classificato  come ‘basso’ negli indici dello sviluppo umano. 
In Niger, una  delle nazioni più povere al mondo,  le intese procedono verso una  progressiva  militarizzazione, aumentando  i rischi per i migranti e  accrescendo  il potere di bande armate e trafficanti.  Allo stesso modo  in Mali, Paese  che sta riprendendosi dopo la guerra  civile, gli  ‘aiuti’ militari dall’Europa  per trattenere i migranti minacciano  di  risvegliare quel conflitto.  «L’Unione Europea – sostengono gli autori  dello studio – ha voltato le spalle  ad un impegno incondizionato per i  diritti umani, la democrazia, la libertà  e la dignità umana espandendo  negli ultimi anni in maniera problematica  le proprie politiche di  esternalizzazione  delle frontiere». Dalle cronache degli ultimi giorni,  purtroppo,  non arrivano smentite. 
(Nello Scavo, Avvenire, 20 maggio 2018) 
