Continuano sulla stampa mainstream le diatribe sulla crisi siriana tra giornalisti seri – alcuni un po’ meno – improvvisati esperti e tuttologi del web. Si chiedono, è stato lecito l’attacco di Trump alla Siria? È confermato l’attacco con armi chimiche da parte del “regime” di Assad? Sappiamo che ad oggi sia il presidente americano Donald Trump che il presidente francese Emmanuel Macron hanno detto di essere in possesso delle prove, ma nessuno ancora le ha viste.
Alcuni sostenitori della versione dell’attacco chimico affermano che sia stato lo stesso presidente Assad a colpire e voler sterminare la propria popolazione. Per altri i colpevoli sono i ribelli per poi far accusare Assad. Di sicuro ci troviamo davanti al “sensazionalismo nella propaganda di guerra”, come afferma Thierry Meyssan, giornalista e attivista politico. Secondo Meyssan negli ultimi sette anni non c’è stata guerra civile in Siria ma una guerra regionale nel “Medio Oriente allargato” che dura ormai da diciassette anni.
Ci chiediamo allora: sono veri i video che girano e mostrano le immagini dell’attacco chimico? Per alcuni si è trattato di una messa in scena, come in un film. Cosa dobbiamo pensare dei bambini che vediamo? Sono immagini vere o sono false, sono recenti o foto di repertorio? Possiamo davvero pensare che non si stia consumando un dramma in Siria? Insomma, nessuno ci sta capendo più niente: i sostenitori americani si schierano contro Assad, quegli altri contro Trump.
Schierarci è esattamente quello che non dovremmo fare, se non dall’unica parte possibile: quella del popolo siriano.
Per capire qualcosa di più su questa complicata e triste vicenda al di là degli articoli scritti pro e contro, mi sono messa in contatto con frate Bahjat Elia Karakach, francescano della Custodia di Terra Santa, superiore del convento dedicato alla conversione di san Paolo, la parrocchia principale di rito latino della capitale siriana, Damasco. L’intento era quello di capire, da un punto di vista che non fosse di parte, cosa realmente stia accadendo da quelle parti. L’ho cercato proprio nel giorno della celebrazione della messa domenicale nella chiesa di Damasco, per avere un resoconto veritiero di come la popolazione stia vivendo questi giorni di tensione.
Frate Bahjat parla in un italiano perfetto e con tono pacato mi racconta cosa ne pensa. Non vuole parlare di politica ma solo di quello che in questo momento è fondamentale: “il dialogo”. Racconta della popolazione siriana e di come malgrado l’attacco missilistico continui la propria vita regolarmente. Una popolazione disillusa, tormentata da un doppio sentimento, quello di paura e di rabbia. Una popolazione che, dopo anni di guerra, non vede alcun miglioramento anzi con questo attacco si sente ancora più al centro dell’intrigato gioco di potere tra Occidente e Medio Oriente.
La Siria si trova al centro del più grande giacimento di gas del mondo e, se fino ad oggi le guerre nascevano per accaparrarsi il petrolio, ora l’intento è il predominio dei paesi con giacimenti di gas. Subito dopo l’attacco del 14 aprile, mentre noi in Occidente ci affannavamo alla ricerca di notizie, elaborando commenti più o meno confusi, a Damasco la gente è scesa in strada: “Hanno voluto – mi spiega Bahjat – mostrare la propria unità ancora più forte dopo gli attacchi dei nemici esterni”.
Cautamente chiedo: “Lei che si trova sul posto mi può dire qualcosa di questo presunto attacco chimico?”. “È improbabile vi sia stato un attacco chimico – mi risponde – non sarebbe stato possibile poiché le armi chimiche in Siria non ci sono. Oggi – prosegue – la Siria non ha bisogno di attirarsi lo sdegno da parte dell’Occidente attraverso un attacco che vada a colpire la propria stessa popolazione. Siamo abituati a notizie false e manipolate, purtroppo dall’inizio della guerra, seppur alcune immagini siano reali e la situazione sia davvero drammatica, sono stati creati alcuni video ad hoc per mostrare ‘le barbarie del governo di Assad’. Il problema più grande che abbiamo oggi in Siria – prosegue – sono le sanzioni che hanno colpito non certo il potere, ma le fasce più povere della popolazione”.
Dal 2011 l’Unione Europea ha imposto delle sanzioni contro la Siria imponendo l’embargo del petrolio, il blocco di ogni transazione finanziaria e il divieto di commerciare moltissimi beni. Sanzioni che in questi anni hanno contribuito a distruggere la società siriana condannandola alla fame, alle epidemie, alla miseria, favorendo l’attivismo delle milizie combattenti integraliste. “Se davvero volete aiutare il nostro popolo – conclude Bahjat – non sarà attraverso l’invio di missili, ma attraverso il dialogo e la rimozione delle sanzioni. Forse non sapete che a causa delle sanzioni, non abbiamo accesso ai medicinali e a cure mediche perché mancano le strutture specializzate. Vi preoccupate dei nostri bambini, ma sembra non abbiate capito come aiutarci”.
(Tiziana Cuiavardini, Il Fatto Quotidiano, 16 aprile 2018)