Ho letto di recente un articolo sconcertante.
In Giappone sta crescendo l’età media della popolazione carceraria. Ma non perché i delinquenti lì rinchiusi tendano a diventare sempre più vecchi, ma perché molti anziani lasciati soli e con pochi mezzi scelgono la galera per trascorrervi gli ultimi anni. Come fanno? Semplice: rubano e si fanno arrestare.
Preferiscono stare nel gruppo dei detenuti piuttosto che da soli nella casa ormai disertata da figli lontani o presi da orari di lavoro aberranti, preferiscono stare rinchiusi senza libertà, senza spazi personali, senza comodità… pur di parlare, pur di essere più di un’ombra che si aggira qua e là senza scopo, pur di essere accuditi nella malattia e nel dolore.
Il Giappone non è una nazione del terzo mondo.
E’ un paese civile, culturalmente preparato, discretamente ricco, ma a quanto pare non attento alla fragilità, alle aspettative dei suoi cittadini.
Ossessionato dalla produttività e dal bisogno(conculcato dalla classe dirigente) di raggiungere gli obbiettivi ad ogni costo, nonché supinamente inchinato al volere del “capo” (politico, aziendale) il popolo giapponese sta sacrificando i suoi “ultimi”.
Ma non solo.
Infatti mentre i pensionati cercano si sfuggire la solitudine chiudendosi in carcere, i giovanissimi cercano di sfuggire la schiavitù di un mondo disumano e alienante chiudendosi nella loro stanza (hikikomori), senza parlare se non attraverso i computer, senza incontrare la loro stessa famiglia che in quella casa vive (!?).
E questa segregazione dura per anni, gettando nella disperazione padri e madri, fratelli e sorelle.
Ma non solo.
Dicono le statistiche che il Giappone ha il numero più alto di suicidi (30.000 all’anno, 1 ogni 15 minuti). Si suicidano i lavoratori travolti da ritmi e orari disumani: 100/120 ore di straordinario mensile, precarietà contrattuale, diritti ridotti, relazioni azzerate (molti dormono in ufficio)… e alla fine non resta che finire sotto un treno.
Si suicidano gli studenti che vivono l’istruzione fondamentalmente come possibilità di affermazione, di successo e di conseguenza non sopportano psichicamente il fallimento di un esame o di un test di ammissione che deluderebbe le aspettative dei genitori, della società, della nazione. Il picco di suicidi giovanili coincide infatti con gli esami di ammissione in settembre. I treni subiscono in quel periodo forti ritardi… e tutti sanno perché.
Si suicidano i superstiti dello tsunamidi qualche anno fa, perchè lasciati soli a subire le conseguenze della distruzione, avvelenati dalla fuoriuscita di radiazioni nucleari e mai risarciti, vittime scomode di un progresso tecnologico che tende a fare dell’uomo un accessorio.
Lo testimoniano le case sempre più piccole, con i soffitti sempre più bassi, poste in agglomerati sempre più vasti, più cementificati, più rumorosi…
Si suicidano o spariscono (“evaporano” traducendo dal giapponese) i disoccupati, gli indebitati, le persone in difficoltà costrette a vivere nelle baraccopoli sorte intorno alle grandi città, oppresse non solo dalla povertà materiale ma dall’onta del fallimento personale.
Ma il Pil è a posto. Superata la bolla economica che provocò la recessione degli anni novanta, tutto pare andare per il meglio… i conti tornano…
Il turbo liberismo ha trovato in Giappone una delle massime incarnazioni (facilitato sicuramente dal carattere e dalla cultura di quel popolo). I suoi effetti crudeli e possibili anche da noi (le premesse ci sono già!) ci devono far riflettere. Ci devono far riconsiderare la nostra idea di progresso e di economia. Ci devono far capire a quali derive aberranti porti una società che non ponga l’uomo, tutti gli uomini, al centro.
A volte la stessa realtà è “profezia”, basta saperla guardare.
don Paolo Zambaldi