venerdì, Novembre 15, 2024

L’isolamento di papa Francesco

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).
Monsignor Dario Viganò ha dato le dimissioni da prefetto della segreteria per la comunicazione da cui dipendono tutta la stampa, tutti i media e tutti i social della Santa Sede. Lo cannoneggiavano da giorni i denigratori di papa Francesco: quelli che Benedetto XVI aveva catalogato fra gli “stolti” in una lettera mandata proprio a Viganò e che, rivelata a pezzi, lo ha travolto.
Viganò aveva chiesto a Benedetto XVI di scrivere una prefazione a una collana sulla teologia di papa Francesco. Non era una richiesta insensata. Ratzinger aveva scritto un anno fa una prefazione al libro del cardinale Robert Sarah, prefetto di curia che si è schierato contro Francesco in materia liturgica. Poi aveva firmato la prefazione al volume in onore del cardinale Gerhard Ludwig Mueller: campione del contrasto a Francesco. In quelle pagine c’erano tesi note di Ratzinger: ma esse erano delicate perché volevano dimostrare che Benedetto XVI ha ancora un qualche diritto di governare. Tant’è che un po’ governa dando copertura a coloro a cui si sente vicino.
Chiedere a Benedetto XVI di dedicare una prefazione non ai nemici ma agli amici di Bergoglio deve essere sembrata una bella idea: ma aperta la lettera, è apparso chiaro che era stato un errore.
Nella lettera di Benedetto XVI c’era infatti una bacchettata agli “stolti” denigratori di Francesco: ma pur nel registro dell’affetto sembrava che il papa emerito desse un voto (buono, per fortuna…) al papa regnante. E poneva l’interrogativo di cosa sarebbe accaduto se il voto fosse stato cattivo.
La lettera, poi aveva due parti più delicate, che sulle prime sono state taciute. Una, irrilevante, in cui Benedetto XVI diceva di non aver letto i volumi. L’altra contestava a Viganò la decisione di aver messo in collana il saggio Uomini secondo Cristo oggi di Peter Hünermann, teologo di Tubinga, col quale Ratzinger ha ingaggiato dispute che non ha mai dimenticato.
Il papa emerito ricorda a Viganò che a Hünermann si deve la “dichiarazione di Colonia”, con la quale 30 anni fa un gruppo di autorevoli teologi tedeschi demoliva la “politica dottrinale” di Ratzinger: che aveva usato la categoria del magistero “definitivo”, per pronunciarsi su temi sensibili e aggirare i limiti strettissimi che il concilio Vaticano I ha posto al magistero “infallibile” (che il papato moderno ha usato una volta sola).
È una questione sottilissima che affiora dalla memoria gentile e vendicativa di un professore all’antica? Assolutamente no. I Dubia, il cattolicesimo filo-Trump, il cattopopulismo, la contestazione dell’approccio-Bergoglio alla morale, il duello con Mammona, la Cina, la Russia — tutto batte esattamente questo: può il vangelo arricchire gli assetti dottrinali di una tradizione viva o la dottrina per essere tale deve essere giudice del vangelo?
Trent’anni fa, la risposta della teologia tedesca e dei grandi teologi ecclesiastici, come Karl Lehmann e Walter Kasper, impedì a Ratzinger unilateralismi pericolosi. Dopo trent’anni Benedetto suggeriva a un prefetto di curia come Viganò che quella teologia o almeno Hünermann, venisse punita col silenzio. Cosa che detta da un teologo è un’opinione; detta dal papa emerito è un atto di governo.
Questione delicatissima, potenzialmente eversiva. Stracciare quella missiva — che Ratzinger non ha battuto da sé — era impossibile. Squadernarla sarebbe stato un gesto arrogante. Chiedere al papa, un atto scellerato. Viganò ha così deciso di stendere un velo: forse sapendo che in poco tempo il testo sarebbe emerso.
In ogni caso dalla emersione del testo intero è stato travolto. Anche se ha protetto Benedetto XVI dalle conseguenze di un gesto che poteva appannare il modo impeccabile di fare il papa emerito dello stesso Ratzinger. Anche se ha evitato a Francesco il gravoso obbligo di doverlo rilevare.
Francesco accettando le dimissioni di Viganò può tirare un bilancio delle due verticalizzazioni che aveva imposto alla curia romana. La verticalizzazione della segreteria per l’economia, in cui il cardinale Pell, con la sua surreale sbrigatività, ha creato più problemi di quelli che ha risolto è stata smantellata. La verticalizzazione del comparto comunicazione, che aveva avuto molti consensi, da oggi è acefala. E il papa più isolato.
(Alberto Melloni, Repubblica, 22 marzo 2018)

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