“Evangelium Foeminae” è una raccolta di 22 composizioni in versi, in cui le donne che compaiono nelle narrazioni dei Vangeli, i canonici, con qualche breve incursione negli apocrifi, si raccontano. L’opera nasce da una consuetudine e da due domande che spesso mi sono posta. La consuetudine è quella di leggere e di meditare i vangeli “da donna”, con l’attenzione rivolta in particolare all’atteggiamento di Gesù verso le donne, negli episodi e anche nelle parabole dove entra in pieno “l’universo femminile”.
Le domande che mi sono scaturite da anni di riflessione sono state le seguenti:
- si può desumere da quegli episodi, da quelle parabole una autentica Buona Notizia anche per le donne, che risulti liberante non solo da un limite generico di “peccato”, ma proprio dallo specifico di oppressioni “sessiste”?
- coloro a cui, nelle chiese cristiane, è stato demandato il compito di “annunciare il vangelo”, sono stati in grado di cogliere il vero, autentico anelito di liberazione contenuto nella richiesta sofferente di queste donne al profeta Gesù? O le voci, in grande prevalenza maschili, quando non maschiliste, hanno sottaciuto, minimizzato, incompreso quell’ansia di liberazione?.
Mi è stata posta la domanda se, in questa mia reinterpretazione del vissuto di queste donne, io mi sia discostata dalle interpretazioni “ufficiali” della Chiesa cattolica. Ho risposto che, non essendo io né una teologa, né una esegeta, non ho inteso fare opera di reinterpretazione storico – critica, pertanto mi sono attenuta strettamente alla narrazione degli evangelisti. Tuttavia, poiché la mia è un’opera poetica, di poesia – racconto, ho inteso arricchire questa narrazione attraverso la mia immaginazione e la mia empatia di donna per le donne.
Rispetto a una figura però ritengo di avere seguito una mia strada interpretativa. Parlo di Maria di Nazareth, la madre di Gesù, che io non vedo come la Donna sacralizzata e messa sugli altari della Chiesa cattolica, la Vergine purissima, la Madre santissima, la Regina del cielo. La Donna benedetta fra tutte le donne, ma “da tutte le donne immensamente lontana”. L’ho vista piuttosto come “una donna accorata e una madre pellegrina”, che ha vissuto, nei confronti di un Figlio straordinario, un rapporto di grande intensità affettiva ma anche di problematicità conflittuale. E in questo mi sono di conforto le stesse scritture. Di Maria, invece, mi hanno colpito altre qualità eccelse: la sua “fame e sete di giustizia” gridate nel canto del Magnificat, la sua solidarietà nei confronti delle altre donne, che emerge dalla sua premura per la cugina Elisabetta e dalla sua ansia che non venisse rovinata la festa di una giovane sposa per la mancanza del vino. E in Maria ho visto soprattutto “l’educatrice” di Gesù, colei che per prima gli ha ispirato questa attenzione e questa comprensione per le donne umiliate e sofferenti.
Allora insegnai a mio figlio, come fosse una fiaba,
una nuova buona novella:
le prostitute precedono i giusti
nel banchetto del Regno,
le vedove ottengono giustizia,
le sterili sono dette beate,
le schiave sono liberate,
le folli annunciano salvezza,
le impure sono dette figlie di Dio.
In questo libro io ho inteso ridare, oltre alla voce, un protagonismo a queste donne, troppo spesso rinchiuse in stereotipi che ne hanno immiserito la ricchezza umana. Quello che mi ha colpito, leggendo e meditando i Vangeli, è questo quasi ribaltamento degli schemi mentali con cui, nelle società antiche ma anche nelle nostre, vengono definite le identità di genere. In fondo, ai suoi discepoli maschi Gesù, proponendo se stesso come modello, diceva “imparate da me, che sono dolce e umile di cuore”. Le donne invece, più con i fatti che con le parole, sembrano sollecitate a un atto di coraggio e di audacia. Il coraggio della Cananea, che tiene testa e controbatte perfino il Maestro. Il coraggio dell’emorroissa, che osa toccare il suo mantello in mezzo alla folla che la giudica “impura”. Il coraggio della cosiddetta “peccatrice”, che sfida i “giusti” seduti a banchetto per spargere su di lui il suo profumo e le sue lacrime. Il coraggio di tutte le donne del suo seguito, che non lo abbandonano sulla via della croce ma lo seguono fino alla fine. E all’alba del terzo giorno, dopo la pausa del Sabato, sono lì, pronte a sfidare le guardie pur di potere ungere il suo corpo di profumi, liberandolo dal lezzo della morte.
E sono sempre le donne che coraggiosamente danno ai discepoli la lieta novella di una nuova vita e di una nuova storia, con la testimonianza della resurrezione.
E questa Buona Novella fu sparsa tra i discepoli
per la testimonianza caparbia
di noi sole donne. Di noi donne per prime.
Di donne non ritenute degne di fede.
Di donne che, malgrado il dolore
e malgrado il silenzio,
malgrado la violenza e la morte,
sono le innamorate della Vita!
Un’ultima osservazione. Nella religione cristiana Dio viene declinato solo al maschile, come trinità di Padre, Figlio e Spirito santo. Invece, dalle parole di Gesù, rivela anche il suo “lato femminile”, come ho voluto far risaltare attraverso la poesia che chiude la raccolta:
E questo disse, tra l’altro, il Profeta
Yeoshua di Nazareth:
il Regno dei cieli è simile
alla gallina che raccoglie i pulcini
sotto le sue ali.
Alla pecora perduta
ma ritrovata dall’amore.
Alla donna che spazza la casa
ricercando la dracma preziosa
E, quando l’ha ritrovata,
con le amiche fa festa.
E alla donna che in tre staia di farina
pone un pugno di lievito
e la pasta cresce nel silenzio.
Alla vedova che non si dà per vinta
e ottiene giustizia per la sua insistenza.
Alle ragazze felici, agghindate e pronte
con buona riserva di olio per le lampade,
all’incontro con gli sposi.
E la Ruah del Padre, sotto forma di colomba,
discese sopra la terra
volendone fare un luogo gentile
per le Figlie
di Dio.
(Rita Clemente, Cdb Italia, 4 dicembre 2016)