Il decennio 1960-1970 ha rappresentato per la Chiesa di base italiana un laboratorio di fede e di cultura assai promettente. Si intrecciavano esperienze, narrazioni, letture ed elaborazioni molto diverse.
Attorno alla “teologia politica” (Metz-Girardi-Diez Alegria-Gonzales Ruiz), alla crescita dei preti operai, ai circoli politici dei “cristiani sociali”, nel fervore dei gruppi biblici di quartiere, molte parrocchie e parecchi centri di spiritualità raccolsero le voci del dissenso radicale e costruttivo che stava diffondendosi dal nord al sud dell’Italia. Furono questi cristiani che, nel decennio successivo, parteciparono con una acquisita coscienza di laicità ai referendum sull’aborto e sul divorzio. Fu la stagione dei “gruppi spontanei che fiorirono un po’ ovunque. I messaggi e le proposte dei teologi esperti al Concilio Vaticano II facilitarono la costruzione di un dialogo con la teologia della liberazione di cui in quegli anni eravamo in attento ascolto. Percepivamo una profonda parentela, sia pure nelle nostre dislocate e differenti realtà.
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Fronte di copertina dell’opera collettanea Massa e Meriba. Itinerari di fede nella storia delle comunità di base (Tempi di Fraternità 1980) |
Le iniziative dei cristiani critici contro il Concordato e l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole della Repubblica, il rinato interesse per i protagonisti del “modernismo”, il 1968-’69, il superamento del partito unico dei cattolici, le lotte operaie e le prime voci dissonanti delle teologie femministe, parecchie riflessioni critiche rispetto all’enciclica Humanae vitae, ci fecero gustare la gioia di essere anche accompagnati da alcuni pastori capaci di camminare insieme al popolo di Dio. Era esattamente ciò che avveniva anche in America Latina dove alcuni vescovi rompevano, in nome del Concilio e in nome del popolo oppresso, il fronte della continuità. Sembrò allora che il “vento” del Concilio soffiasse inarrestabile. In realtà la stroncatura lenta e progressiva delle aperture conciliari non tardò a farsi sentire. Le voci profetiche che giungevano dal Cile, dall’Argentina, dal Brasile, da Cuba, dal Nicaragua e da El Salvador… ci resero progressivamente più attenti a ciò che nel capitalismo stava avvenendo. La cultura e la stagione del progresso sicuro ed illimitato diventavano ai nostri occhi una illusione. L’oppressione metteva in atto un progetto planetario sotto l’egemonia degli USA. Il nuovo nome della salvezza diventava progressivamente la liberazione “dalla schiavitù d’Egitto”.
Gli anni ‘70 videro un vasto “circuito” di realtà ecclesiali di base, parrocchie e comunità religiose, coinvolgersi in modo più esplicito e concreto nella scelta dei poveri in una Chiesa povera. In quel contesto nacquero in Italia le Comunità cristiane di Base e i “cristiani per il socialismo”.
La ricostruzione storica di quel tempo spesso si sofferma sulle esperienze che ebbero maggiore notorietà, ma fu il tessuto meno appariscente che lavorò con grande impegno e profondità sul terreno teologico, biblico e sociale.
Scattò la reazione
Già Paolo VI tuonò contro quella che definì “la rivoluzione teologica”, ma fu soprattutto la sua interpretazione restrittiva delle aperture conciliari a tentare di arginare i fermenti di novità e ad emarginare le “punte” più avanzate.
In ogni caso, fu il pontificato di Woytila che ingaggiò tutti i partigiani della reazione. Iniziò l’emarginazione dei teologi aperti e conciliari, nei seminari e nelle facoltà teologiche si avviò un controllo assoluto con una selezione rigorosa.
Tutto ciò determinò una grande corrente di scoramento mentre veniva favorita ogni operazione di squalifica della Chiesa di base. La Chiesa gerarchica molto presto cominciò ad affiancare i potenti ed a emarginare le esperienze critiche e creative. Le esperienze conciliari cercarono di praticare una spiritualità della resistenza, ma sovente la paura e il clima repressivo allontanarono dalla comunità ecclesiale energie preziose. Le intelligenze critiche facevano paura ad una istituzione che cercava con ogni mezzo di ricompattarsi.
La Chiesa della liberazione
Avevamo ancora nelle orecchie le voci di Milani e Mazzolari quando risuonarono altre testimonianze significative: Turoldo, Dossetti, Balducci, Giancarla Codrignani, Lidia Menapace, Pellegrino, Cuminetti, Raniero La Valle, Giovanni Franzoni, Vittorio Bellavite, Lercaro, Enrico Peyretti, José Ramos Regidor, Luigi Sandri, Enzo Mazzi tennero alta la prospettiva del Concilio Vaticano II. Sul piano culturale molte riviste e periodici svolsero un lavoro prezioso di controinformazione e di approfondimento, fungendo anche da ponte tra le varie Chiese della liberazione. Adista, Confronti, Tempi di Fraternità, Testimonianze, Il Gallo, Il Foglio, Quale vita, Rocca, Il Tetto, Concilium, Esodo…: ecco alcune testate tra le tante.
Lo stesso seminario per l’America Latina di Verona funzionò come laboratorio e come centro di divulgazione delle teologie dell’America Latina. Allora teologi come Mesters, Gutiérrez, Boff, Barros, Assmann, Ellacuría, Freire, Proaño, Richard, Vigil, Gebara… divennero come teologi di casa nostra e compagni di viaggio della nostra esperienza.
Esplosione delle lotte
Da Conversano a Favara, da Pettorano sul Gizio a Roma, da Gioiosa Ionica a Lavello, da Parma a Trento, da Palermo a Milano, da Genova a Pinerolo, da Firenze a Torino, da Bergamo a Voghera, da Livorno a Verona… nacquero esperienze di contestazione del potere sacrale, occupazione di Chiese, preti portati in tribunale per lotte operaie e antimilitariste… Mentre si svolgevano queste lotte, il teologo Rosino Gibellini curò, per l’edizione Queriniana, le più significative produzioni teologiche provenienti da tutte le aree del pianeta, favorendo un costante approfondimento ed ampliamento della mappa culturale e teologica.
Fu sempre nel decennio 1970-1980 che in parecchie città del Sud d’Italia si avviò un processo politico e teologico di crescente dissociazione dalle mafie. Negli anni successivi preti e magistrati furono perseguitati e uccisi perché avevano osato contrastare gli interessi delle organizzazioni criminali. Fu proprio negli anni ’70 che Ciro Castaldo diede vita al Bollettino di collegamento nazionale dei gruppi e comunità cristiane di base: uno strumento che facilitò un confronto costante tra le varie realtà nazionali.
In questi anni diventò sempre più determinante l’impegno e l’apporto delle teologie femministe e la voce delle donne che promossero una radicale critica al patriarcato dominante nella società e nelle Chiese.
Le ricerche femministe sono sempre state al centro del movimento delle Comunità cristiane di Base. Momenti particolarmente stimolanti nella vita delle comunità sono stati i convegni regionali, nazionali e i seminari di studio.
Il cammino delle comunità non potrebbe certo dimenticare l’apporto di teologi e teologhe come Hans Küng, Edward Schillebeeckx, Elisabeth Schüssler Fiorenza, Tissa Balasuriya, John Hick, Ortensio da Spinetoli, Giuseppe Barbaglio, Adriana Valerio…
Tensioni e problemi
Una certa tendenza anti-istituzionale, una difficile comunicazione tra comunità ed esperti, sensibilità diverse ed anche profonde divergenze sulle priorità del movimento stesso hanno creato nel corso degli anni delle difficoltà non indifferenti. A metà degli anni settanta, su iniziativa del teologo Amilcare Giudici e di pochi altri, fu avanzata la proposta di trasformare il collettivo teologico che aveva elaborato e scritto il volume Massa e Meriba in un laboratorio nazionale permanente per la formazione di animatori e animatrici delle comunità. L’idea non trovò seguito, ma nacquero qua e là seminari teologici e corsi biblici (quello di Torino compie 40 anni). La Chiesa di base oggi in Italia sta compiendo il difficile ma fecondo cammino verso un’accoglienza reciproca delle differenze, facendo i conti con reali divergenze sul piano politico e sul terreno religioso.
Anni ’80: repressione e paure
Negli anni ’80 le grandi iniziative pontificali, con una visibilità mediatica straordinaria, determinarono una svolta clericale in cui sembrò che la Chiesa istituzionale fosse riuscita ad imbrigliare la profezia del Concilio che, invece, per noi costituiva soltanto un sentiero aperto verso il futuro. Cominciò allora il funesto periodo della mariolatria, della santomania, della papolatria e del devozionalismo. Le ricerche sulle strutture della Chiesa, sulle cristologie, sui linguaggi liturgici, sul ruolo delle donne, sulla famiglia, sulle unioni civili e il matrimonio omosessuale… diventarono terreni “pericolosi”. Furono preferiti quei teologi e quei monaci accondiscendenti, verniciatori del vecchio catechismo e “buoni per tutte le stagioni”.
Mentre nei seminari e nelle facoltà teologiche si registrò e si registra tuttora una grave decadenza della teologia scientifica: teologi e monaci allineati trovano una presenza e una visibilità vasta su tutti i mezzi di comunicazione, determinando un’informazione che nasconde le novità critiche e le ricerche più pungenti sui terreni scottanti che la realtà dell’oggi pone alle Chiese e alle religioni. È sufficiente non “toccare”, non affrontare con rigore certi argomenti che attengono al piano etico o dogmatico, ed allora puoi vivere tranquillo.
Nonostante la voce profetica di papa Francesco su temi centrali della convivenza umana e cosmica, nonostante il suo appassionato richiamo ad una Chiesa in uscita, le nostre Chiese locali sono spesso sonnolente, piene di santi e madonne, di rosari, di processioni, di apparizioni, di feste patronali… continuano come prima le cappellanie militari, il Concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica, la scuola di religione cattolica, il catechismo ufficiale… Il passaggio a una Chiesa che operi un annuncio ed una testimonianza dalla fede ai sacramenti è appena avviato. Regna ancora una prassi pastorale che mette al centro la sacramentalizzazione, ma il passaggio è in atto e necessita di tempi medio-lunghi.
Una opportunità straordinaria
Lo spirito disumanizzante del capitalismo ha totalmente permeato il vissuto quotidiano con la religione del “benesserismo” e con la globalizzazione dell’indifferenza. Il clima diffuso batte anche alla porta delle nostre comunità e delle nostre vite personali. Ma in realtà, accanto a chi cede a questa idolatria, accanto a chi vive il tramonto della “societas christiana” come delusione o rimpianto, esiste una realtà minoritaria, ma capillarmente sparsa, di donne e di uomini che vivono l’attuale stagione come una difficile sfida e una grande opportunità.
Nella fatica, nella scarsità dei frutti, molte donne e molti uomini, a tutti i livelli della nostra Chiesa, vivono con speranza attiva il servizio evangelico della semina del granello di senape e la loro testimonianza nelle vie del mondo.
Uomini, donne, presbiteri, pastori, catechisti: c’è una multiforme e dispersa comunità che non cede alla tentazione “panottica”, cioè della grande immagine scenica, ma vive ogni giorno in costante riferimento alla esistenza degli ultimi, immersa nelle lotte per i diritti, contro le disuguaglianze. Esistono, quasi totalmente silenziate dalle voci ufficiali, una ricerca cristologica, un dialogo ecumenico di base, ricerche di nuovi linguaggi per dire Dio oggi in cui si gioca una partita importante. In questo contesto lentamente si crea dal basso una nuova ministerialità, anzi una nuova comunità.
“Chiesa di tutti chiesa dei poveri” non è un cartello, ma un sentiero che vuole mettere in rete, in comunione, tutte quelle esperienze che tentano di liberare il cristianesimo dalla idolatria del potere e del dogma. Molti, senza illusioni lavorano, studiano, pregano e operano in questa direzione, affidando a Dio i tempi del cammino.
Mi sembra che questa sia autentica spiritualità della liberazione. Si tratta di un’opportunità storica di passare dalla prevalenza di un cristianesimo sociologico alla fede personale e comunitaria nel Dio della liberazione che, per noi cristiani, si è manifestato in Gesù di Nazareth e nelle persone più emarginate, fragili ed oppresse.
(Franco Barbero, Adista Documenti n° 5 del 10/02/2018)