Negli ultimi anni la percentuale di dinieghi alle richieste d’asilo è aumentata progressivamente fino ad attestarsi al 60%. La maggior parte di queste decisioni è ribaltata dai Tribunali, ma in questo modo i migranti sono costretti a lunghe procedure nella lenta burocrazia italiana.
Le decisioni negative e la riduzione della possibilità di presentare appello produce fatalmente un esercito di potenziali irregolari imprigionati in un paese-gabbia che già offre scarse opportunità di inserimento lavorativo. Il progetto di mandare soldi a casa, alla base di qualunque storia di migrazione, rimane frustrato.
L’esercito di “fantasmi”, cioè uomini e donne senza possibilità di inserimento nella nostra società e senza diritti, aumenta di anno in anno. Le commissioni territoriali ne hanno prodotti 55.423 nel 2016, 41.503 nel 2015, 14.217 nel 2014, 9.175 nel 2013. Se sarà rispettata la percentuale del 60%, nel 2017 ci saranno oltre 50.000 “fantasmi”. Grazie a queste politiche, ai migranti è negato l’accesso al mondo legale: contratti di lavoro, sanità di base, servizi pubblici e affitti di abitazioni.
Il desiderio populista che vorrebbe “riportarli a casa loro” è irrealizzabile. Intanto per una questione di costi. E poi per problemi pratici. Solo per un’espulsione di pochi migranti è necessario un complesso apparato logistico (centri di detenzione, voli, scorte, procedure diplomatiche) e prima di tutto un accordo col paese di destinazione. Ecco perché – a fronte di pochi espulsi – la maggior parte degli irregolari/precari rimane in Italia e finisce per concentrarsi nelle zone franche.
Dove vanno a finire i migranti che vivono questa situazione? Già in passato, quando l’intervallo tra una sanatoria e l’altra diventava eccessivo, si creavano al Sud “zone franche” dove i controlli dello Stato erano storicamente poco presenti. Quelle sacche sono sempre le stesse da decenni: Castel Volturno, Rosarno, Foggia. Qui si creano ghetti con dimensioni crescenti: luoghi che vivono di regole proprie e dove convivono esempi di autogestione e solidarietà con strategie extralegali.
I migranti sono fortemente ricattabili e vivono una situazione di incertezza insostenibile. Sono sfruttati dai caporali, da imprenditori senza scrupoli, da avvocati che promettono documenti, da mediatori che offrono falsi contratti di lavoro e affitto.
Le donne vengono immediatamente catturate nel giro della prostituzione. Le reti criminali presenti, in particolare quelle nigeriane, trovano un terreno fertile per espandere i loro traffici e acquisire sempre più potere.
Pensare alle nostre mafie, ossessionate dalla signoria territoriale e dal riconoscimento del proprio potere, ci porta fuori strada. Abbiamo “organizzazioni ospiti”, che si confrontano con altri poteri come quello statale e soprattutto con quello delle organizzazioni criminali autoctone. Per cui tendono a offrire una gamma di servizi legali-illegali strutturandosi di volta in volta in base alle opportunità e ai vincoli che il territorio offre. È evidente che una situazione come quella che si sta creando (una massa di irregolari incastrati in un paese-gabbia) offre opportunità crescenti ai criminali.
Uno studio della Bocconi (Clicking on Heaven’s Door: The Effect of Immigrant Legalization on Crime) afferma che l’incidenza dei reati si riduce per i migranti regolarizzati. Cioè, i migranti commettono meno reati dopo aver ottenuto i documenti. È ovvio: se non hai accesso al lavoro, ai diritti, ai servizi, cosa altro ti resta? Ecco perché sicurezza e inclusione sono sinonimi. I ghetti sono ovviamente sinonimo di esclusione.
Quello che è accaduto a Rosarno il 27 gennaio è esemplificativo. Una ragazza – Becky Moses di 26 anni– in pochissimi giorni è passata dalla prospettiva di un inserimento a Riace alle baracche della prostituzione a San Ferdinando – Rosarno. Letteralmente consegnata alla morte dallo Stato che fino a qualche anno fa era un modello europeo per le politiche antitratta.
Nel ghetto di Rosarno non c’era una zona della prostituzione. È una novità degli ultimi anni, quando è diventato sempre più simile a quello di Rignano Garganico, nei pressi di Foggia, dove alle tende dei lavoratori si affiancano baracche autocostruite dove si offrono servizi di vario tipo. A sua volta, Foggia deriva dal “modello” Castel Volturno. E quest’anno, a Campobello di Licata, nella lontana provincia di Trapani, sono comparse le prime donne nigeriane accanto ai lavoratori impegnati nella raccolta delle olive.
Come evitare l’espandersi di questo fenomeno di sfruttamento multiplo?
Ecco alcune richieste per il governo italiano:
- espandere l’applicazione del permesso umanitario, già usato in passato per allargare la quota di regolari (per esempio dopo la rivolta di Rosarno del 2010)
- facilitare le procedure di rinnovo dei permessi umanitari (senza richiesta della residenza da parte delle questure)
- programmi antitratta nei ghetti del Sud
- programmi di mediazione abitativa
- favorire la relocation per chi ha opportunità o relazioni in altri paesi europei
Hanno aderito: Piam onlus (Asti), Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute onlus, Tampep onlus.
(Antonello Mangano, terrelibere.org,8 febbraio 2018)