“Il tema della necessità di una Riforma della Chiesa era per Alberigo fondamentale e proprio per questo mi sembra urgente ritornare a ripensare la sua esperienza oggi. La sua dedizione decennale alla raccolta della documentazione relativa alle varie fasi di svolgimento del Concilio Vaticano II e la scrittura di una grande storia del medesimo concilio Vaticano II (in diversi volumi tradotti in molte lingue) sono operazioni culturali imponenti in cui egli ebbe accanto l’ultimo dei suoi migliori allievi, Alberto Melloni che ha proseguito con impegno vasto e conseguente il suo lavoro.
Semplificando. L’opzione ermeneutica che Alberigo proponeva per interpretare i testi fondativi del Concilio Vaticano II era quella di individuare i punti innovativi dei documenti conciliari (non in modo intuitivo o di parte, ma attraverso uno studio analitico e rigoroso dei testi e della storia della loro formazione). Alla luce di questi punti innovativi bisognava interpretare tutto il resto e ispirandosi ad essi bisognava poi procedere alla attuazione delle riforme che questi punti di innovazione additavano.
La teologia conservatrice, invece, che prese sempre più il sopravvento a partire dal pontificato di Paolo VI, propose un’ermeneutica opposta: i testi del Vaticano II dovevano essere interpretati come se fossero in piena continuità con le affermazioni del magistero ecclesiastico precedente e perciò se ne attenuava la novità ribadendo la necessità di tornare ad assetti istituzionali e dottrinali pre-conciliari. In questo modo il Concilio Vaticano II è stato attuato in un modo che ha impedito che le sue innovazioni potessero affrontare le urgenze della società internazionale con il nuovo spirito evangelico che era emerso dal Concilio. A cinquant’anni dalla fine del Vaticano II, la necessità di una profonda riforma della Chiesa è di nuovo sulla scena. La riforma della curia romana è urgentissima, ma come sarà possibile senza una critica radicale del rapporto religione-politica e delle sue ricadute statuali? La riforma del sistema di elezione dei vescovi su cui Alberigo tanto aveva insistito, potrebbe portare ad un rovesciamento del loro rapporto con le comunità locali di cui si favorirebbe la creatività.
A me sembra però essenziale (non so quale sarebbe stata la posizione di Alberigo) un ritorno alle sorgenti del cristianesimo e in particolare alla figura di Gesù e non soltanto alla vecchia e superata idea della Chiesa dei grandi concili, sembra a me essenziale e anche una riforma radicale della teologia delle religioni e del rapporto tra Chiese cristiane e cristianesimo e altre religioni. La riforma del sacerdozio è ancora più urgente. L’esigenza principale è quella di infrangere la sua riduzione a ceto di potere maschile, con apertura del sacerdozio alle donne e agli sposati, rendendo il ministero espressione dal basso e non emanazione gerarchica dall’alto.
Torniamo però alle tematiche che furono più schiettamente di Alberigo (almeno come io le ricordo, forse imperfettamente). Egli aveva insistito sulla necessità di una riforma strutturale che avrebbe avuto, nella sua mente, conseguenze sistemiche vaste: quella del governo collegiale della Chiesa (basato sul principio che centro della Chiesa non è il papa, ma l’eucaristia e l’assemblea liturgica). Alberigo aveva avanzato rilievi critici sulla funzione puramente consultiva del Sinodo dei vescovi, aveva additato l’urgenza di un continuo esercizio collegiale del governo della Chiesa.
In questo attuale bisogno di riforma il ritorno alle grandi tematiche alberighiane sarebbe opportuno.”
Tratto da “A 10 anni dalla morte di Alberigo. Studi storici e riforma della Chiesa” un articolo di Mauro Pesce: biblista, già professore di Storia del Cristianesimo all’Università di Bologna, presidente del CISSR (Centro Italiano di Studi Superiori sulle Religioni), direttore degli Annali di Storia dell’esegesi; autore di numerosi testi di Storia delle origini cristiane.
(Adista Segni Nuovi, n° 33 del 30/09/2017)