Il 23 dicembre scorso, in un’aula del senato semivuota, si è consumato uno dei momenti più bassi della recente storia politica italiana. Era l’ultima occasione per approvare una legge che dovrebbe fondarsi sul principio che i diritti sono consustanziali alla persona e non appannaggio di pochi. «Originariamente, nessuno ha maggior diritto di un altro su una parte della terra» ha scritto Kant. Che sull’ospitalità dice: «Non si tratta di filantropia, ma di diritto, la parola ospitalità (Wirthbarkeit) significa il diritto spettante a uno straniero di non essere trattato ostilmente a causa del suo arrivo in territorio altrui».
Per i fautori del “prima gli italiani”, invece, il diritto a vivere decentemente sarebbe dettato dall’autoctonia, dal fatto di essere nati in un luogo piuttosto che in un altro. «Mi sembra una orribile indegnità avere un’anima controllata dalla geografia» rileva il filosofo George Santayana. Tale indegnità è stata invece scelta, voluta o tollerata dalla maggior parte degli esponenti del senato.
Forse c’è qualcosa di peggio che essere cinici, spietati e razzisti: essere vigliacchi. Titolo che si meritano quei senatori che neppure hanno avuto il coraggio di affrontare una discussione sullo Ius soli. Prendersi il rischio di argomentare è troppo per persone piccole come Roberto Calderoli della Lega, che con un trucco della peggior casta, ha chiesto la verifica del numero legale dei presenti in aula (numero mancante) e che ha detto con l’orgoglio dei codardi: «Lo Ius soli è naufragato. Colpito e affondato. Morto e sepolto».
E che dire dei senatori del Pd? Vigliacchi due volte: perché hanno disertato, come quelli di destra, la votazione; perché non hanno dichiarato apertamente, di essere contrari a quella legge proposta dal loro partito.
Seggi vuoti anche tra i 5Stelle, che sui migranti oscillano costantemente senza mai fare una proposta. Si nascondono dietro lo slogan: «Né di destra, né di sinistra». Troppo facile, o si sta dalla parte dei diritti o li si nega.
Ai parlamentari è attribuito il titolo di “onorevole”. “Degno d’onore, onorato, che gode alta reputazione (per meriti, dignità, grado, nobiltà, ecc.)” lo definisce il dizionario Treccani. Quali di queste definizioni si addice a coloro che erano o non erano in aula quel giorno?
(Marco Aime, Nigrizia, 21 febbraio 2018)