mercoledì, Novembre 20, 2024

Lectio Biblica: La Genesi (incontro del 12 febbraio 2018)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

GIUSEPPE (Gen 37,1-50,26)
 Testi liberamente tratti da :

-Brueggemann W., Genesi, Torino, Claudiana, 2002;


1)Giuseppe e i suoi fratelli  Gen 37,1-36

2)Giuseppe in Egitto Gen 39-41

1)    Giuseppe e i suoi fratelli (Gen 37,1-36)

Questo capitolo segna l’inizio di un nuovo ciclo narrativo, il ciclo di Giuseppe, con cui si chiude la Genesi. Qui si delineano le principali tematiche e problematiche che domineranno l’intero ciclo. Giuseppe figlio amatissimo della vecchiaia di Giacobbe, viene introdotto bruscamente: ma è lui ora, a incarnare il futuro. Siamo di fronte a un nuovo intenso inizio.

Il capitolo si può suddividere in due parti. I versetti 1-4 presentano le tensioni famigliari che innescheranno l’azione. I versetti 5-36 delineano la tematica principale, il potere del sogno e il conflitto con la quotidianità, rappresentata dai fratelli di Giuseppe. Già in questa breve sezione è chiaro quale sarà l’argomento dell’intero ciclo: la lotta tra il sogno e gli “assassini del sogno”.

v.1-4 Il narratore aggiunge alla storia dei patriarchi una nuova generazione. Tutte le promesse di Abramo e il futuro di Giacobbe ora sono riposte in questo ragazzo, Giuseppe, anche se i suoi fratelli non vogliono accettare questa realtà. Il suo nome significa “aggiunga”. Egli è aggiunto per grazia di Dio perché la storia della famiglia dipende da lui: il suo sogno la salverà tutta. Senza Giuseppe non vi è futuro. Egli è “l’ultimo” perché qui l’ultimogenito Beniamino non figura. Ancora una volta “l’ultimo” diviene il primo.

La situazione ci viene illustrata in poche semplici parole

·         Il ragazzo ancora inesperto svolge umili incombenze domestiche. E’ facile dunque fantasticare, risentirsi, diventare un fanfarone. Soprattutto perché egli è il prediletto del padre col piccolo Beniamino. A lui Giacobbe non sa negare niente.

·         Giacobbe come sappiamo è un uomo che non si è mai fatto troppi scrupoli, che non si è mai preoccupato della forma e della correttezza. Perciò ora non fa nulla per nascondere il suo amore cieco, arbitrario, quasi imbarazzante per questo figlio speciale aggiunto tardi. Infatti gli dona una veste speciale, lussuosa.

·         I fratelli si risentono. Vedono che Giacobbe è parziale. La parzialità del suo amore scatena il loro odio. Un simile triangolo di amore/odio non potrà avere che conseguenze nefaste.

La promessa dei padri, se vuole sopravvivere, deve farlo nell’ambito di questo burrascoso triangolo. Questa storia ha molto da dire alle nostre vite perché tutti noi, prima o poi, viviamo in un triangolo come questo- nella parte di quello che è troppo amato (Giuseppe), di quello che ama troppo (Giacobbe) o di quello che si sente troppo poco amato (i fratelli). Ce n’è abbastanza qui, per scrivere un trattato di Politica famigliare.

Vv.5-35 La politica del sogno.

Questa parte si può dividere in tre scene:

·         Vv.5-11 Viene riferito il sogno. Il narratore interpreta il sogno come un dono di Dio. Infatti è in questo modo misterioso, che Dio si manifesta in questo ciclo. È stato Giacobbe a fare di questo suo figlio un sognatore destando in lui la consapevolezza di essere destinato a qualcosa di più e di meglio rispetto agli altri fratelli (la predilezione paterna crea autostima e permette il sogno!!!). Inoltre l’ultimo figlio deve sognare, perché i precedenti si sono assicurati tutti i ruoli disponibili. Questo specifico sogno ha però una concreta sostanza che si rivela nei vocaboli regnare e dominare. Esso dunque si fa rivelazione di un orizzonte nuovo per Israele, compare una speranza storica.  Pare esserci un’incongruenza tra sogno e potere, il primo così remoto e surreale, il secondo così concreto e mondano. Ma proviamo a riflettere sul potere politico dei sogni. Esso è innegabile, in quanto il sogno è una forza a cui alla fine né la tradizione né la violenza riescono a opporsi. Pensiamo ad alcune recenti esperienze di liberazione (Gandhi, M.L. King, la stessa rivoluzione socialista, le varie resistenze a regimi totalitari…). I sogni permettono di immaginare nuove possibilità politiche che immediatamente minacciano il vecchio ordine e lo mettono in discussione. Così il sogno di Giuseppe minaccia i fratelli e l’impero.

E Giacobbe come si pone di fronte a questi fatti? Egli comprende il figlio prediletto ma vuole anche mantenere la pace perciò si schiera con gli altri figli e taccia il sogno di assurdità. Ma mentre i fratelli sono spinti dall’invidia il padre invece, “serba dentro di se” (Maria) il sogno e tutto questo strano episodio. È confuso e disorientato, ma anche speranzoso e non del tutto convinto che il sogno sia solo una sciocchezza.

·         Vv.18-31 I fratelli sono dominanti. In questa scena avviene la violenza che collega la tensione della prima scena con la disperazione del padre della terza scena

Ora Giacobbe esce dalla storia, c’è solo il futuro dominatore che incontra coloro che sono destinati a inchinarsi dinnanzi a lui. Ma per ora  nessuno di loro lo sa. Per ora c’è solo un incontro tra il figlio prediletto e i fratelli pieni di odio. “Ecco che arriva il signore dei sogni”. Egli è una minaccia. Il sogno mette a rischio le loro posizioni ormai garantite. L’unica soluzione è eliminare il sogno uccidendo il sognatore. Mentre in Giuseppe abbiamo intravisto quell’umanità capace di sperare, eletta da Dio, nei fratelli vediamo invece l’umanità nella sua ostinata incapacità di sperare. Incapaci di sperare e quindi disperati, i fratelli hanno deciso di eliminare il sogno ma in realtà non ci riusciranno. Il sogno è più forte di ogni decisione umana.

I versetti 22-30 costituiscono una digressione narrativa, con le strategie messe in atto dai due fratelli maggiori Giuda e Ruben ambedue codardi ma con qualche scrupolo. Infine pensano come ingannare il vecchio padre. Opporsi al sogno richiede una infinità di inganni.

·         Vv.32-35 Viene descritta la disperazione di Giacobbe alla morte del figlio sognatore.

La terza scena inizia di nuovo con la veste lunga con le maniche.  La veste è usata come prova della morte del sogno. Nata come segno di un profondo amore, poi lacerata con un profondo odio, la veste diviene ora lo strumento di un abbietto inganno. L’odio dei fratelli ha trionfato sul profondo amore del padre. La scena è un rituale di morte e disperazione. Ma come si possono consolare quelli che hanno perso un figlio amatissimo? Come sperano quelli che vivono di speranza, quando il sogno viene loro rapito? Come si fa a sopravvivere a simili tragedie? Come si fa a continuare a credere alla promessa?

Mentre ascoltiamo la storia di questo padre e del suo dolore, non possiamo non udire in essa lo straziante dolore di Israele in esilio, nella Shoah, in tutte le innumerevoli occasioni in cui la morte ha minacciato il sogno. Anche noi possiamo trovarci in qualsiasi momento a dover affrontare il dolore che non conosce consolazione. Siamo tutti esposti al dolore, se non quello della morte, quello delle sconfitte esistenziali, dei sogni infranti. Quanti domani vengono sacrificati sull’altare di un oggi cinico e brutale!

Ma il sogno non dipende né dal padre, né dai fratelli e neppure da Giuseppe (né da noi!), il sogno è all’opera per conto suo. È nelle mani di Dio. La cosa meravigliosa è infatti che se anche Giuseppe parte per l’Egitto da schiavo, Dio non ha abbandonato il sogno.

2)    Giuseppe in Egitto Gen 39,1-23

Il capitolo è suddivisibile in tre parti:

vv.1-6 che descrivono la nuova situazione di Giuseppe ed affermano che “Dio è con lui” ; vv.7-20, che narrano l’episodio centrale della seduzione e della fuga; vv.21-23 che descrivono la nuova situazione di Giuseppe al termine dell’episodio e di nuovo ribadiscono che “Dio è con lui”.

Leggendo questo racconto si può essere tentati di concentrarsi sull’episodio centrale, perchè è quello maggiormente drammatico e di azione. O al contrario si può sottolineare la parte iniziale o quella finale perché in esse vengono fatte affermazioni teologiche.

Ma un commento fedele deve sforzarsi di tenere insieme questi elementi. La vita va vissuta affrontando grandi rischi, come nei versetti 7-20. Va vissuta nel mondo, che riserva inganni, tentazioni e seduzioni. Va vissuta nel contesto dell’impero dove sembra che ciò che si desidera possa essere conseguito con le proprie forze. L’episodio dei versetti 7-20 è una storia autonoma, in sé conclusa. I versetti 1-6 e 21-23 invece sono alta teologia. Qui tutto fa parte di un piano sapientemente preordinato. Non ci sono clamori, lacerazioni, sconvenienze. Il nostro commento deve trovare il modo di rendere giustizia sia alle affermazioni teologiche che al convulso episodio imperiale, mondano. E’ vero al tempo stresso che la vita è inscritta in un piano provvidenziale(vv1-6;21-23) e che va vissuta affrontando grandi rischi (vv7-20). Sia l’una che l’altra affermazione è vera. E ciascuna da sola è falsa.

È una storia che lotta col contatto tra vita vera e vera fede ed esprime la convinzione che entrambe siano due facce di un’unica medaglia.

La tentazione è di essere o eccessivamente pii o eccessivamente mondani e di scegliere una delle alternative a scapito della altra.

Chi è troppo immerso nel paradigma religioso non sarà mai in grado di procedere oltre il versetto 6 e di confrontarsi con l’impero. Chi è troppo immerso nell’odierna secolarizzazione forse riterrà (come la donna di Potifar) che l’episodio inizi col versetto 7. Sia l’uno che l’altro atteggiamento, da solo fraintende il testo. Ma per averli entrambi non ci sono formule facili. Il racconto infatti ha in mente un tipo di umanità che confida pienamente in Dio e si coinvolge appieno nell’esperienza umana. Giuseppe infatti è un uomo che riceve fedeltà da Dio e che vive fedelmenteil rapporto col suo padrone egiziano.

Gen 40,1-23

Nel capitolo di cui ci occuperemo ora veniamo a sapere che Giuseppe ha il dono di interpretare i sogni, ma per quanto riguarda il suo destino non accade nulla di decisivo. All’inizio egli si trova in carcere, dove deve essersi segnalato in qualche modo, visto che è incaricato della “sorveglianza…di tutti i detenuti” (39,22). Alla fine (40,23) si trova sempre ancora in carcere, ma dimenticato. Questo capitolo serve fondamentalmente a creare suspence nel racconto in vista dell’incontro del capitolo 41.

Il commento a questo capitolo si focalizzerà necessariamente sul sogno e le sue varie modalità di interpretazione-

·         È noto che nella letteratura antica in genere e nelle fonti egizie in particolare, viene attribuita grande importanza ai sogni. Ma da un punto di vista teologico questa affermazione non è centrale.

·         Non bisogna farsi distrarre nella nostra interpretazione né da un approccio ai sogni tipico della storia delle religioni, né dalle moderne teorie sul significato dei sogni (psicoanalisi). É però interessante notare come l’analisi di queste ultime faccia meglio emergere la concezione biblica dei sogni.

·         Freud: secondo la psicologia analitica i sogni ci aiuterebbero a rivivere e ad elaborare il passato rimosso. Ma è evidente che i sogni del nostro testo non si riferiscono al passato ma al futuro che Dio ha in serbo per i vari personaggi.

·         Jung: i sogni sono dati di un inconscio collettivo, da tutti condiviso. Essi servono per discernere un ambito della realtà ignoto e generico (Ad esempio servono per scoprire l’atavica religiosità umana). I sogni in Gen 40, non sono affatto generici ma anzi del tutto concreti e specifici.

·         Alcune scuole di pensiero: i sogni possono essere interpretati, tramite tecniche speciali, da persone dotate da facoltà particolari (anche nel mondo antico c’erano persone a conoscenza di queste tecniche!). Ma questo racconto afferma un’altra cosa: che il sogno è un dono e la sua interpretazione è un dono e non si effettua grazie a facoltà o tecniche particolari, ma grazie al potere che Dio per sua libera scelta conferisce a undato individuo.

I sogni biblici non sono dunque fini a se stessi. Sono mezzi, nel racconto, per parlare di una nuova concezione del futuro. Siamo abituati a pensare al futuro come a qualcosa di costruito a forza di sacrifici e scelte, o perlomeno come qualcosa che derivi dal presente. Il racconto attesta l’esistenza di un altro tipo di futuro. Sostiene che non sta nell’essere umano forgiare il futuro, che non rientra nelle sue capacità né determinarlo né scongiurarlo. Il futuro è imperscrutabilmente nelle mani di Dio e non dell’umanità. I disegni di Dio danno vita a cose nuove e inaspettate, che non derivano dal presente.

Gen 41, 1-57

L’azione principale del capitolo 41 ha luogo nella sezione centrale (vv.9-45). Prima ci è stata mostrata la vanità dell’Egitto(vv1-8) dopo ci verrà narrata laprosperità garantita da Giuseppe, pur nell’infuriare della carestia (vv.46-57). Tra la vanità e la prosperità, c’è Giuseppe (vv.9-45). In questi versetti sta avvenendo qualcosa che né il faraone né Giuseppe comprendono. Lo spartiacque di questa sezione centrale è costituito dalle parole “Or dunque il faraone pensi a trovare un uomo…” v.33.

·         Nei versetti 9-32, (prima di or dunque) Giuseppe interpreta il sogno al faraone. Giuseppe “il dimenticato”(dal coppiere!) è in grado di fare ciò che il faraone non può fare. Può ricevere il futuro assegnato da Dio. Il racconto non si chiede perché il faraone non possa ricevere questo futuro da Dio. Forse egli non riesce a discernerlo perché troppo irretito nel proprio presente. Giuseppe al contrario è aperto e risoluto nei confronti del nuovo futuro: nella sua interpretazione si mostra fermamente teocentrico. Non si fa distrarre dall’interessante fenomeno del sogno in se, ma si focalizza esclusivamente su Dio, colui col quale il faraone deve fare i conti. La spiegazione del sogno non è eccezionale. Ma lo è l’impostazione teocentrica del racconto.

·         Il Dio di cui Giuseppe parla non viene identificato né menzionato. Perché probabilmente è il riserbo, l’atteggiamento che più si confà a un discorso pronunciato a corte, in un contesto, cioè, in cui non ci si poteva certo permettere di fare discorsi teologici espliciti.

·         E’ però evidente (a noi) che Giuseppe si riferisce al Dio della propria famiglia.  Non è necessario che egli lo espliciti al faraone. E’ sufficiente che si sancisca l’esistenza di un referente trascendente estraneo all’impero, che si contrappone all’impero sia come principio critico, sia come fonte alternativa di vita.

·         Il discorso di Giuseppe è serenamente distaccato: egli annuncia tranquillamente al signore dell’Egitto  che il futuro non è nelle sue mani. E’ questo che si legge tra le righe.  Nella sua forma e nel suo contenuto, il sogno presenta una realtà futura che non obbedisce all’arbitrio o ai progetti del faraone. E’ decretata, stabilita, fissata e seguirà il suo corso. Il faraone è impotente di fronte al potere di Dio che avanza.uesto è un messaggio audace e rischioso da trasmettere Questo è un messaggio audace e rischioso da trasmettere. Ma non è certo marginale nella Bibbia. Ci troviamo di fronte anzi alla premessa della fede biblica: Dio ha la capacità di creare di nuovo sovvertendo ogni consuetudine istituzionalizzata. La resurrezione stessa è un sovvertimento dell’ordine naturale!

·         Lo spartiacque del racconto è il versetto 33. I piani di Dio richiedono una controparte umana. In questa giustapposizione di piano divino e azione umana c’è il seme della fede incarnazionista. Il piano trascendente di Dio è legato alla concreta azione storica. Non ci sarebbe potuta essere l’azione storica salvifica se non ci fosse stato il sogno. Ma se vi fosse stato solo il sogno e la sua interpretazione, senza l’azione storica concreta, non ci sarebbe stata salvezza.

·         E’ quindi necessaria una persona che realizzi i piani di dio. E’ necessaria una persona intelligente e saggia, capace di discernimento e timorata di Dio. Perchè “il timore del Signore” è il principio di ogni discernimento e di ogni scienza. Giuseppe descrive un individuo che abbia in sé i segni della sovranità (v.33). Ma una sovranità diversa da come la intende l’Egitto. Una sovranità che corrisponda ai criteri di Israele. (Is 11,2-3)

Il re secondo Isaia è colui che prova compassione per i poveri e gli umili, che pratica la giustizia e la fedeltà, che domina per portare la pace.

·         La storia procede immediatamente dal consiglio di Giuseppe alla sua applicazione da parte del faraone. Tutto avviene rapidamente perché tutto è già stabilito da Dio che porterà a buon fine il sogno privato inviato a Giuseppe e il sogno pubblico che ha inviato al faraone (v.41,2-7;17-24).Giuseppe non oppone resistenza .

·         L’intera procedura dell’insediamento v41-45 sembrerebbe essere un autentico rituale egiziano di insediamento la potere. Giuseppe è ora pienamente inserito nella realtà egiziana. Questo è l’intento del faraone. Giuseppe sembra essere diventato appieno egiziano, aver accettato facilmente il ruolo e l’autorità del suo nuovo ufficio. Ma Giuseppe ha molte facce. Di lì a poco egli farà appello al Dio della sua tradizione. Per intanto il racconto offre un delicato equilibrio tra fedeltà e inculturazione, fede e ragione. L’influsso della tradizione di fede di Israele è attenuato. Ma forgia l’uomo, il racconto e forse l’impero.

L’intera sezione costituita dai capitoli 39-41 ci ha fatto percorrere un lungo cammino. Era cominciata con la mera sopravvivenza di un ragazzo che aveva fatto un sogno pericoloso; termina con quel ragazzo che è divenuto un alto funzionario pubblico e esercita un potere di vita e di morte (41,44). Gli “assassini del sogno” a Sichem non hanno ucciso il sogno. Inconsapevolmente ne hanno fatto proseguire la causa. Sin qui Giuseppe e il racconto Hanno proseguito il loro iter senza i fratelli ora è il tempo che i fratelli ricompaiano. Ma ora la loro brutalità e la loro arroganza si faranno umile supplica. Nel prossimo capitolo tutto è invertito, capovolto. Ora sono i fratelli a sperare soltanto di poter sopravvivere. Ma ecco si trovano di fronte il sognatore, il cui sogno è divenuto realtà.

 

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