venerdì, Novembre 22, 2024

Lectio Biblica: La Genesi (incontro del 05 febbraio 2018)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

GIACOBBE II (Gen 28-35,29)

Testi liberamente tratti da :

-Brueggemann W., Genesi, Torino, Claudiana, 2002;

 

1)Il sogno di Giacobbe (Gen 28,10-22)

2)La lotta con Dio (Gen 32, 23-33)

3)La riconciliazione con il fratello Esaù (Gen33, 1-17)

1)Il sogno di Giacobbe

Per la prima volta nel ciclo di Giacobbe, questa sezione nontratta di conflitti tra esseri umani. Qui avverrà un confronto diretto tra Giacobbe e il Dio che lo ha aiutato nella lotta per la primogenitura.

Questo racconto è costruito in modo da includere (a) un contesto di viaggio(che serve solo da cornice e da elemento unificante),(b) la teofania/manifestazione di Dio  e (c) la reazione di Giacobbe all’incontro.

-L’incontro avviene in un luogo sconosciuto a Giacobbe, nel quale non si sarebbe mai aspettato di fare un’esperienza religiosa.

-La sua condizione poi è quella del fuggiasco, di colui che prova il terrore dell’essere bandito, senza garanzie.

Shakespeare ci ha lasciato bellissimi versi che illuminano questa situazione:

Non c’è mondo oltre le mura di Verona,

ma purgatorio, tortura l’inferno stesso.

Chi è bandito da qui è bandito dal mondo,

e l’esilio dal mondo è la morte col nome sbagliato.

(Romeo e Giulietta, atto terzo, scena 3)

– Per di più l’incontro non ha luogo quando Giacobbe è vigile e lucido ma in un momento di abbandono, di vulnerabilità, mentre dorme. Dio detiene l’iniziativa. Giacobbe del resto, preso da altre priorità( sottrarsi alla collera del fratello!!), non nutre velleità religiose, insomma non pensa a Dio…Il tema della notte come sempre sottolinea l’oscurità, la mancanza di riferimenti, lo straniamento.

Qui per la prima volta nella Bibbia, Dio si manifesta in un sogno.

Da un lato siamo tentati di pensare che questa sia solo una descrizione primitiva di una manifestazione religiosa, avulsa dalla realtà moderna, e dal momento che noi siamo adulti e “moderni” a cose simili non crediamo più. Da un altro lato siamo tentati di spiegarlo psicologicamente negando la realtà oggettiva.(Giacobbe proietta nel sogno il suo bisogno di rassicurazione!)

Ma né l’una né l’altra spiegazione coglie nel segno. Il racconto scompagina queste nostre pretese di razionalizzare l’evento.

Il testo insiste, vuole affermare con forza, che il mondo è realmente luogo di simili incontri. L’interprete deve dunque fare attenzione a non spiegare o meglio a non banalizzare con le sue spiegazioni.

 L’elemento straordinario del racconto poi non è tanto la manifestazione di Dio, dal momento che fenomeni religiosi accadono ancora oggi in ogni sorta di maniere. Qui lo stupefacente non sta nell’apparizione sta in Dio: è Dio! L’incredibile non sta nel “fenomeno religioso”.

Il miracolo, lo choc , il mistero risiede nel modo in cui questo Dio sovrano si lega a questo fuggiasco sleale e bugiardo. La trasformazione di Giacobbe  ha infatti luogo durante il sonno, nel momento in cui egli ha perso il controllo del proprio destino: quando cioè, non resisterà a quest’Altro che viene nelle tenebre. E da questo incontro Giacobbe ,questa non-persona (perché esule, emarginata e atterrita) sarà trasformata in una persona cruciale per la promessa.

A) I simboli della teofania v 12

L’incontro con Dio è descritto con tre simboli visivi( che non sono importanti in sé ma servono a descrivere la realtà di Dio, salvaguardando la sua trascendenza tanto cara a Israele, che di Dio non osa pronunciare il nome, né rappresentarlo).Ma è più che altro importante il simbolo uditivo : sono le parole di Dio a cambiare le cose. Altri dei possono manifestarsi. Ma questo Dio fa delle promesse che lo vincolano.

Il primo simbolo è il sogno.

L’ incontro avviene in sogno. Il mondo diurno di Giacobbe era un mondo d’angoscia, terrore e solitudine (e possiamo supporre sensi di colpa).Il sogno permette l’irruzione di un’alternativa nella sua esistenza, non è rievocazione di un passato disonorevole, ma l’annuncio  di un futuro con Dio. Qui come altrove nella Genesi (31,10-11.24; 37,5-10)è un mezzo tramite il quale il progetto di Dio s’insinua nella vita di questa famiglia..

Il secondo simbolo è la scala

La scala (rampa)evoca qualcosa di simile allo ziggurat mesopotamico, una massa di terra in forma di tempio tramite cui la terra sfiora il cielo. Questa rampa come immagine richiama alla mente la religione imperiale dominante. Ma qui è divenuta un veicolo visibile della buona novella. La terra non è abbandonata a se stessa e il cielo non è la dimora remota e inaccessibile degli dei. Il cielo ha a che fare con la terra e la terra può contare sulle risorse del cielo.

La scala è il simbolo del cammino per l’incontro tra Dio e l’uomo.

L’essenza della visione, che scompagina il mondo a cui si riferisce Giacobbe, è che , tra cielo e terra c’è un interscambio, un andare e venire. Egli pensava di essere in viaggio da solo, con l’obiettivo di mettersi in salvo, e considerava irrilevante un’eventuale presenza divina.

Nel sogno invece scopre che la terra non è stata né sarà mai, abbandonata da Dio e che essa è il luogo dove lo si incontra.

In questo fatto sono presenti i semi della fede nell’incarnazione, del potere di Dio di farsi uomo e di calarsi nella storia. Nel Vangelo di Giovanni (1,49-51)infatti , Gesù rivolgendosi a Natanaele , dirà “In verità, in verità vi dico : vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”. Come si riempie di significato questa affermazione se conosciamo l’esperienza di Giacobbe come certamente Gesù da buon ebreo la conosceva!.

Il terzo simbolo sono gli angeli.

Non si tratta ovviamente di persone alate, ma di messaggeri di Dio che eseguono i suoi ordini. Come specificato nella promessa, il messaggio che essi recano è che Dio si mostrerà fedele e concretizzerà la sua venuta. Il vecchio regno di angoscia e terrore sta cedendo alla sua potenza. Dio viene là dove non lo si attende, quando non lo si attende. Dio è libero. Dio è Dio, Dio fa Dio.

Qual’ è infatti la domanda centrale di questo testo: esiste una venuta di Dio capace di trasformare la realtà umana?(tema centrale di una fede incarnata!)

Tutti- sogno, scala, angeli- rispondono “Si!”. Questi elementi visibili introducono una nuova realtà nella vita di Giacobbe. Ma essi tuttavia non sono il vero fulcro del testo (sebbene suggestivi), sono potremmo dire, veicoli della promessa. Il vero fulcro è il discorso di Dio.

B) Il discorso di Dio v 13-15

La promessa che Dio fa a Giacobbe, pur formulata nei modi e nei contenuti classici dei racconti patriarcali(terra per Israele, benedizione per gli altri attraverso Israele), è qualcosa di più.

Il versetto 15 “Ecco io sono con te, ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questo paese, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che t’ho detto”è una promessa rivolta in particolare a Giacobbe. E’una promessa non necessaria a quanti come Isacco, vivono vite non segnate da conflitti. Ma Giacobbe si trova ad affrontare pericoli speciali. Questa promessa è l’amorevole, premurosa risposta di Dio alla sua situazione di pericolo.

La promessa è triplice.

“Io sono con te”

Il cielo si è fatto incontro alla terra . Queste parole sono un caposaldo della fede biblica. Confutano ogni tesi nichilista sull’ esistenza umana. E’ necessaria una nuova conoscenza di Dio se vogliamo liberarci dalle sconfortanti analisi sull’esistenza umana di scienziati e filosofi nichilisti.(Il silenzio di Dio)

Questo dobbiamo capire :Dio si lega , si vincola a un fuggiasco inerme e impotente. Il fuggiasco non è stato abbandonato. Dio ,questo Dio, lo accompagnerà. E’una promessa sovrana.

Una promessa che sarà  rivolta anche  ad altri uomini (al profeta Geremia, al popolo di Israele in esilio, a Giuseppe, a Maria, agli apostoli prima della Sua morte)e anche a noi !

Ti proteggerò”

Questa promessa a quest’uomo tormentato fu probabilmente alla base di molte altre riflessioni, in Israele. Viene spontaneo ad esempio l’accostamento al Salmo 121, in cui compare per ben sei volte il verbo ”proteggere”.

Anche la tradizionale benedizione di Capodanno (tratta dal libro dei Numeri 6,24-26) può essere accostata al motivo di Giacobbe: “Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace”.

“Ti farò ritornare, non ti abbandonerò”

Qui la benedizione si fa più specifica: diventa promessa del ritorno alla terra natia. Il tema dell’esilio/ritorno può parlare a molti, in questo nostro mondo di grandi flussi migratori. Qui si sperimenta come Dio capisca la tragedia del distacco dalla propria patria, dalla propria famiglia, dalla propria identità: Dio dice all’uomo triste spaventato e sconfitto “io ti farò ritornare io non ti abbandonerò”. L’esperienza di Giacobbe parlerà a quanti, nella comunità che si riconosce nella tradizione biblica, sono anch’essi profughi a causa della violenza di coloro (noi tutti!) che dovrebbero essere fratelli. Per questa comunità di fuggiaschi infatti la buona novella è la promessa del ritorno.

La risposta di Giacobbe v 16-22

”Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: “Certo il Signore era in questo luogo e io non lo sapevo”.

E’ la scoperta straordinaria di chi si vede al centro dell’interesse di Dio e reinterpreta in modo nuovo tutta la sua vita; l’uomo solo in viaggio, ramingo e povero acquista chiarezza e incoraggiamento. Giacobbe al suo risveglio capisce di aver passato la notte, senza saperlo, in un luogo sacro, popolato di messaggeri celesti, dove Dio era presente Anche di giorno Dio era presente in modo invisibile, “ma egli non lo sapeva”; quando il sole tramonta, di notte, nel sogno, si manifesta.

v.17  “Ebbe timore e disse .”Quanto è terribile questo luogo. Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo”

Questo timore è il sentimento naturale provocato in ogni uomo dall’irruzione della divinità e dalla sua vicinanza misteriosa. E’ un  brivido espresso con due parole, che in ebraico hanno la stessa radice, “paura” e “terribile”; un sentimento presente in tutti i personaggi biblici quando incontrano Dio. Mosè, Maria, Pietro…Quando Dio chiama chiede sempre qualcosa. Una vocazione( come già detto per Abramo) porta sempre con sè la croce e la gioia; ma mai solo croce o solo gioia.

V18 “Prese la pietra e la eresse come stele…”

Per Giacobbe quanto è avvenuto è un’esperienza che non può dimenticare; è un privilegio che occorre ricordare con un segno visibile. L’unzione della stele è un atto di consacrazione, significa che quell’oggetto è sacro, appartiene a Dio.

V19”E chiamò quel luogo Betel”

 Il luogo cambia nome; prima si chiamava Luz che significa mandorlo, era infatti una regione in cui si coltivava il mandorlo. Giacobbe lo chiama Betel che significa “casa di Dio”, un nome sacro.

V20-22  Giacobbe fece questo voto….se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio….il Signore sarà il mio Dio..”

La promessa da parte del Signore viene fatta nel sogno; Giacobbe risponde ad essa da sveglio, pronunciando un impegno solenne con un voto: egli compie un atto liturgico che è parola e segno. Giacobbe è un uomo che crede, che ha fede, che confida in quanto gli è stato rivelato. Egli da desto decide di accettare quello che gli è stato detto nel sogno e abbandona il suo vecchio atteggiamento dominato dalla paura e dal terrore per una nuova realtà di fiducia e rassicurazione. E’disposto a pentirsi e a credere.

La fede è più importante e forte della paura. Quanto lo crediamo oggi in un mondo travolto , ricattato dai seminatori di odio e di paura? Abbiamo il coraggio di credere al Signore quando dice “Non temere io sono con te, ti proteggerò, non ti abbandonerò?”

( Giacobbe da Labano)

2)L’incontro/lotta con Dio 32,23-3 e l’incontro con Esaù 33,1-17

In questi capitoli, il racconto riprende la storia del conflitto con Esaù, lasciato irrisolto in 27,45. In quel versetto, Giacobbe era fuggito ,per salvarsi la vita, a mani vuote. Ora per ordine di Dio (31,13)”Ora alzati , parti da questo paese e torna nella tua patria!”egli torna ricco e potente da Esaù e nella terra natia. La vicenda dei capitoli 29-31 (Labano) è indipendente e s’interpone nel racconto principale senza avere conseguenze determinanti sul conflitto Giacobbe /Esaù che rimane inalterato e irrisolto.

Il racconto è scorrevole e ben costruito: inizia con un avanscoperta che accresce la suspence(32,3-6), prosegue con l’attenta pianificazione dell’incontro (32,7-21), e culmina con un incontro guardingo ma cordiale , che porta alla riconciliazione dei fratelli (33,1-17).

1)            L’incontro /lotta con lo sconosciuto    Gen 32,23-33

Giacobbe si attende un incontro, quello con Esaù, ma ne avrà due, prima col terribile sconosciuto nella notte e solo dopo con Esaù.

Il primo incontro, tra i materiali patriarcali, è forse il testo che annovera più interpretazioni. La vasta gamma di possibilità esegetiche è in parte dovuta all’oscurità del testo, che consente varie letture. L’argomento comunque è un incontro fatale (=fondamentale per varie ragioni) con un misterioso avversario in possesso di qualità divine.

Giacobbe (v 24) passa il torrente Iabbok (un affluente del Giordano) con tutta la sua famiglia e i suoi averi. “Passare il guado”significa fare un passo decisivo. Basti pensare  al passaggio del mar Rosso(dalla schiavitù alla libertà) e del Giordano (entrata nella terra promessa). Giacobbe è pieno di angoscia e terrorizzato: il fratello, che non vede da vent’anni, vuole ucciderlo e si avvicina al suo accampamento con quattrocento uomini. Sta tornando alla sua terra e deve affrontare un momento decisivo della sua vita. Giacobbe ha sulla coscienza un carico di tensioni e di nodi da risolvere, di contraddizioni e ambiguità accumulate nell’arco della sua esistenza. Finora è stato fortunato, ma la fortuna non può durare sempre; forse è giunto il momento di pagare tutto il male che ha commesso nel passato.

v.25 (Dopo aver attraversato il torrente)” Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora”.

Giacobbe rimane solo, senza aiuti umani.

Prima, nella lotta contro Esaù, aveva come alleato la madre Rebecca ed era protetto dal padre, ora è solo. Essere soli è una situazione inevitabile che si ripete per tutti. Restare soli di notte può destare paura, ma può anche favorire l’incontro con Dio. È un momento propizio, secondo la Bibbia, per incontrare Dio, lontano dai rumori del giorno e dalle parole vane degli uomini.

Un uomo lottò con lui:

l’espressione indica che Giacobbe viene aggredito a sorpresa da uno sconosciuto. Non si tratta quindi di un duello con una persona conosciuta che può essere affrontata consapevolmente. L’aggressore si comporta come un brigante che evita di venir catturato, che nasconde la sua identità e deve evitare la luce. Chi è ?

Per alcuni (nell’esegesi più antica) una divinità cananea(un demone), per altri(sempre in interpretazioni antiche)lo stesso  Esaù. In questo caso si potrebbe dire che l’incontro notturno sarebbe stato lo scenario che Giacobbe prevedeva per il giorno dopo .

I racconti rabbinici non sono unanimi in proposito. Le opinioni sono estremamente discordi. Era un pastore; no era uno stregone; no un saggio; no un bandito. Ma la maggioranza preferisce vedere in lui un angelo . Ma che angelo? L’angelo di Esaù. Qualcuno dice l’angelo di Giacobbe. Elie Wiesel preferisce invece questa ultima ipotesi: Giacobbe è assalito dal suo io sdoppiato. Tra l’io erede della promessa e  l’io che in lui dubitava della sua missione, del suo avvenire, della sua ragion d’essere, quello che in lui dichiarava : non merito niente (sono un traditore), valgo meno di niente…non sono degno dei favori del cielo….indegno di trasmettere la parola che Dio ha destinato agli uomini. I due Giacobbe si ricongiunsero proprio quella notte. Il sognatore eroico e l’eterno fuggitivo. L’uomo scialbo e il fondatore di una nazione, si impegnano a Peniel (= volto di Dio)in una lotta estrema. Per uccidere e uccidersi. Per Giacobbe era la svolta decisiva: tornare in sé battersi e vincere.

La lotta assume allora un significato altamente morale, in quanto essa rappresenterebbe la lotta di Giacobbe con la propria coscienza e il suo bisogno di rinnovarsi per divenire migliore.

L’interpretazione che identifica lo sconosciuto con Dio, rifiutata quasi unanimemente dalla tradizione talmudica, merita (secondo Wiesel )attenzione in quanto Giacobbe stesso la avvalora..

Ma forse è importante che il racconto non sia esplicito. Nella sua fosca descrizione della misteriosa figura, vuole deliberatamente tenerci all’oscuro.

Infatti spesso l’autore sacro non trova le parole per narrare un’esperienza in cui impulsi pensieri emozioni si accavallano. Quanto le nostre decisioni sono frutto di lotta? e con chi?Dio? la nostra coscienza? Chi ci attacca perché riusciamo a superare noi stessi, le nostre debolezze, i nostri errori? Dio? Il rimorso? Le parole di un giusto?Non lo sappiamo mai con chiarezza!

Lottò con lui vv 24-25

La lotta non viene descritta nei particolari. Ci viene detto soltanto che durò tutta la notte. Apparentemente si trattò di un combattimento quasi pari. Che uomo questo Giacobbe! Il misterioso avversario riesce a ferirlo ma non a vincerlo. Ma se l’altro è Dio che significa dire che Giacobbe gli è praticamente pari? Che Dio è mai questo ,che può essere costretto al pareggio da quest’uomo? E che uomo è mai il patriarca Giacobbe se può estorcere un pareggio niente meno che al cielo? Non un uomo qualunque, senz’altro. Ma anche questo Dio non è un Dio qualunque! Tutta la storia non è una storia qualunque!

v26-29assistiamo a un dialogo importantissimo. Abbiamo tre scambi di battute:

v 26 Lasciami andare/prima benedicimi: qui Giacobbe è il più forte e cerca di estorcere una nuova benedizione più potente di quella di Isacco, ma lo sconosciuto lascia tutto in sospeso, non risponde.

-v27-28Qual è il tuo nome?/Giacobbe/ il tuo nome sarà Israele perché hai lottato con Dio e gli uomini e hai vinto :qui è lo sconosciuto il più potente. Giacobbe aveva chiesto una benedizione(protezione)ma ottiene un nuovo nome e di conseguenza una nuova identità. E parlare di identità (being) significa che il cambiamento è ontologico, che attiene cioè alla sfera dell’”essere”e non solo del esistenziale (identity). Gli era stato imposto il nome di Giacobbe(tallone/impostore/truffatore) e d’ora in poi sarà Israele che forse (etimologia incerta) significa “Dio regna, preserva, protegge”. Ciò che conta è che Israele è ora un uomo (e una comunità), legato/a  a un Dio che promette e che mantiene le promesse fedelmente. Israele è qualcosa di nuovo al mondo. Una potenza è passata da Dio all’umanità. Qualcosa del potere di Dio è passato a Israele e ciò che più colpisce è che il vecchio rapporto” Dio comanda/l’umanità ubbidisce” viene trasformato. Dio non comanda ma fa un patto, l’umanità non ubbidisce ma lotta e vince conquistando una nuova relazione col divino.  

V 29-30 Ti prego svelami il tuo nome/ perché ?/e li lo benedisse.

Giacobbe si fa audace e parla per primo. Ma lo sconosciuto che non ha vinto, ma neppure perso, non concede a Giacobbe tutto ciò che chiede. Egli non si è lasciato costringere a rivelare il suo nome ma concede a Giacobbe la sua benedizione. Dio resta Dio, il suo mistero resta intatto.

Vv 30-32 contengono una riflessione di Giacobbe sull’evento appena verificatosi. Giacobbe /Israele è cambiato in due sensi.

– ha un nuovo nome : Israele

– gli è stata inferta una mutilazione che prima non aveva.

Non si tratta di una ferita da poco. Incontrare questo Dio non ha prodotto come siamo soliti immaginare, riconciliazione ,perdono risanamento. Pertanto la lotta notturna è ambivalente. Giacobbe ha penetrato il mistero di Dio come nessun altro prima di lui ed è prevalso. Ma il suo prevalere è tanto una vittoria quanto una sconfitta. Nell’accostarsi troppo e nel pretendere troppo è in agguato un mistero pericoloso che si paga a caro prezzo. Giacobbe ha riportato si potrebbe dire “una vittoria invalidante”e da quel giorno ha camminato zoppo per mostrare agli altri e a se stesso che ,con il Santo ,non esistono vittorie facili. La divina presenza è causa di esultanza, quanto di timore e tremore.

Questo racconto è una testimonianza del più sofisticato pensiero teologico prodotto da Israele. Da un lato Giacobbe/Israele si libra sì ad altezze prometeiche (valorizzando l’uomo!), ma  poi viene corretto da una menomazione a ribadire che Dio è Dio. Dall’altroGiacobbe è uno storpio(debolezza umana!) a cui viene concessa  una benedizione potente. Israele deve meditare a che prezzo vengano concesse le benedizioni. Proprio la teologia del potere debole e della debolezza potente indirizza questo testo verso il nuovo testamento. La dialettica presente in questo testo è la stessa sottesa al dialogo di Gesù coi discepoli in Mc 10,35-45. I discepoli ambiscono troni, un equivalente della richiesta del nome. Gesù controbatte interrogandoli su calici, battesimi e croci. Al pari di Giacobbe i discepoli vengono esortati a essere uomini di fede, che vinceranno sì, ma riportando una terribile ferita (morte sulla croce e persecuzioni).

L’incontro con Esaù 33,1-17

Giacobbe aveva preparato a lungo questo incontro . Aveva paura di sbagliare l’approccio. Era consapevole che la sua colpa poteva non essere perdonata.

La giustapposizione con la lotta sostenuta con lo sconosciuto aveva dimostrato che non esistono riconciliazioni a buon mercato.

L’incontro con Dio e con il fratello convergono, nell’esperienza di Giacobbe. Il narratore è consapevole di questa interconnessione : lo si capisce dal modo in cui ha disposto le variazioni sul tema del volto. 

a)dopo vedrò il suo volto…(32,20)

b)ho visto Dio faccia a faccia e la mia vita è stata risparmiata (32,30)

c) io ho visto il tuo volto come uno vede il volto di Dio (33,10)

E’ arduo distinguere le due figure. Nel Dio santo c’è qualcosa del fratello adirato. E nel fratello clemente qualcosa del Dio benedicente.

L’amore per Dio e l’amore per il fratello sono due facce della stessa medaglia. Dice infatti Giovanni :”Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore diventa perfetto in noi…Se uno dice “Io amo Dio”, ma odia suo fratello, è bugiardo, perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche il fratello.”(IGiov.4,12.20-21)

Resta da interrogarsi su questo vedere e amare. Che significa essere figli ed eredi di Giacobbe- storpiato e benedetto, genuflesso e perdonato? Le risposte potranno essere più d’una. Ma tutte devono passare attraverso il prisma del Crocifisso. E’ Lui l’esperto del patire e delle benedizioni, dell’abbassamento e del perdono.

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