mercoledì, Novembre 20, 2024

La Chiesa in Europa: Quale futuro?

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Il contesto della cultura dominante non aiuta. Negli ultimi anni abbiamo assistito all’ “erosione” di qualsiasi posizione ideologica/ideale.

Le spinte progressiste che hanno aiutato l’affermazione di diritti fondamentali, il superamento della discriminazione, la distribuzione più equa della ricchezza, sono affondate, scomparse dai programmi di governo e non sono più pretese nemmeno da chi ne avrebbe un chiaro beneficio…

Il consumismo, le esigenze di mercato, l’economia, il profitto hanno preso il sopravvento, tanto che, chi osa porne in dubbio l’eticità, viene guardato con sospetto se non con commiserazione.

Questa adorazione del “benessere” inteso come approccio bulimico alle cose, come “piacere prodotto dal consumo” ha invaso e obnubilato innanzitutto ogni riflessione critica (come ben dimostra l’adesione passiva a scellerate scelte politico/economiche), ogni capacità di “vedere” il domani (infatti  il ”tutto e subito”, tipico di una mentalità infantile, è ciò che si preferisce) e di conseguenza ha distrutto (per sempre?) ogni spinta ideale, ogni gratuità, ogni ricerca di senso che vada oltre “il sé”.

Anche per questo abbiamo assistito ad un calo progressivo della spiritualità, della religiosità ma anche delle ideologie civili che ponevano come loro obiettivo la costruzione di un mondo più giusto.

Il crollo fragoroso della Chiesa cattolica in Europa però, se pur dovuto anche ai motivi appena accennati, non dipende solo da quelli!

Già all’inizio del ‘900 si erano levate voci “profetiche” che ne auspicavano un cambiamento , nel senso di una maggiore apertura ai problemi del tempo e dell’uomo, che invitavano a una  maggiore trasparenza e coerenza delle gerarchie, che rimettevano al centro della fede non un castello di costruzioni dogmatico/catechetico/dottrinali, ma la figura di Cristo, povero per i poveri.

Negli anni 60 del secolo scorso prima del Concilio Vaticano II molti laici e preti avevano testimoniato con coraggio la necessità di questa conversione radicale (Milani, Balducci, Turoldo e molti altri…).

Col Concilio, pareva che la strada fosse ormai intrapresa. Che la Chiesa finalmente avesse capito che aprirsi al mondo non voleva dire aprirsi al compromesso, cadere nel relativismo, ma comprendere “il tempo” (criticità, novità, cambiamenti dovuti alle scoperte della scienza e a un nuovo modo di comunicare) e saperlo interpretare alla luce della Parola, scegliendo di schierarsi senza più tentennamenti (opportunismi politici) dalla parte della giustizia, della pace e soprattutto dei poveri e degli esclusi. 

Di fatto però, già Paolo VI cominciò a dubitare, a frenare, a prendere tempo. Ma è stato il pontificato di Woytila che, con i suoi trent’anni di autoritarismo, non solo ha cancellato la primavera conciliare, ma ha tentato di ripristinare “la potenza strutturale e ideologica” della Chiesa cattolica che pareva ormai definitivamente messa in crisi da papa Giovanni XXXIII, dal Concilio e (almeno in parte) dalle scelte di Montini.

La conseguenza fu che vennero duramente colpiti quelli che avevano cercato di realizzare una “chiesa altra” (più umile e povera, più schierata politicamente a difendere i diritti degli ultimi, più evangelica e meno catechetica). Chi invece venne incoraggiato furono i movimenti fondamentalisti che, come dato di fondo, potevano esibire una cieca obbedienza alle gerarchie, una fede “identitaria”, una predilezione per la ritualità e le affermazioni dogmatiche, specie quelle più escludenti. Non è un mistero né meraviglia, che questi movimenti si siano spesso dimostrati fiancheggiatori della destra politica (Berlusconi in primis, Alemanno a Roma!!! Ecc.), amministratori corrotti essi stessi (Formigoni) e complici di intrallazzi economici più o meno gravi.

Da un punto di vista puramente pastorale poi, essi hanno creato “una chiesa nella chiesa”, hanno preteso visibilità e spazi nelle parrocchie, appropriandosene, imponendo con arroganza la loro linea, facendosi forti (se contestati) dell’approvazione del papa o di chi per lui…

Questi gruppi “laicali” dunque, anziché contribuire alla “declericalizzazione” della Chiesa (auspicabile!), hanno imposto una clericalizzazione dei laici, portando a risultati devastanti all’interno delle comunità.

Col loro appoggio, la gerarchia ha potuto ri/prendere le solite posizioni paternaliste e autoritarie. Voglio ricordare la campagna contro la procreazione assistita, le unioni civili e l’inclusione degli omosessuali; ha attuato la copertura di misfatti economici (notevoli) e sessuali (pedofilia) in tutto il mondo; ha espresso un appoggio, nemmeno velato, al ventennio berlusconiano; ha causato il lento e inesorabile affossamento del dettato conciliare e l’allontanamento di tutti quelli (preti e laici) che avevano tentato di metterlo in pratica. Voglio ricordare la cancellazione in America Latina di ogni rappresentante della Teologia della Liberazione, la “normalizzazione” del clero e del laicato progressista in ogni parte del mondo, Italia compresa; ha messo in atto la difesa strenua e ottusa di una Chiesa che ormai, non diceva più niente al mondo occidentale, anche per i motivi che ora venivano riproposti.

Tutto ciò fino all’elezione di Francesco…

Questo papa ha più volte ribadito la necessità di recuperare lo spirito del Vaticano II, ha promesso di rivoluzionare in senso evangelico la struttura ecclesiale, si è apertamente schierato sulle tematiche eco-sociali e pare non lasciarsi condizionare dai piccoli interessi di bottega della politica italiana.

Poi, col suo atteggiamento semplice e colloquiale, ha via via demitizzato la figura papale, ha tentato di decostruire l’immagine di una Chiesa “potente”, ha condannato l’idea di un Dio giudice a favore di quella di un Dio misericordioso, ha cercato di scardinare la rigidità dottrinale che tanti danni ha fatto e continua a fare. Non so ancora se ci sia riuscito davvero.

Ma una cosa l’ha fatta certamente ed essa sarà importantissima per il futuro della Chiesa: ha reso esplicito, direi ha sdoganato, il conflitto interno (che gli altri pontefici avevano represso con forza!). Conflitto di idee, conflitto teologico, conflitto pastorale. Si sono rese evidenti due Chiese. Lo si nota bene ad ogni affermazione di Francesco, dopo ogni sua decisione.

Il papa stesso è oggetto di un conflitto aperto e violento, cosa inimmaginabile prima di lui…

Dunque per quanto ancora si potrà procedere con una politica ecclesiale, che includa tutto e il contrario di tutto? I Legionari di Cristo e i pastori con l’odore delle pecore, l’Opus Dei e la Chiesa semplice e povera, i movimenti laicali conservatori e una Chiesa meno dogmatica e più misericordiosa? Non sarà ora di fare una scelta di campo “costi quello che costi”? O si crederà ancora che la storia possa tornare indietro e riportare masse obbedienti ai piedi dell’altare?   

Per quanto ancora si penserà di fare crociate per vincere primati etici, morali, religiosi in un mondo multietnico, multireligioso e per di più sommamente disinteressato ai valori dello spirito?

Per quanto ancora si metterà il vino nuovo nelle botti vecchie? Fino a quando andrà tutto in frantumi?

Francesco lascia intendere che si deve cambiare modello di evangelizzazione, che è necessario tornare là da dove tutto deriva, Gesù Cristo e la sua Parola.

Sa benissimo che se realizzato, ciò si pone in alternativa radicale al modus operandi fin qui attuato. Che dire allora? Cosa succederà?

Se la contraddizione non verrà sanata, forse si potrà assistere ad uno scisma del cattolicesimo.

Non sono pessimista, semplicemente penso!

Penso che stiamo vivendo un momento critico, difficile, sofferto. Ma spesso è necessario come dice il Vangelo che “il seme muoia, prima di dare frutto”. Quel morire infatti non è qualcosa di definitivo. E’ il passo necessario perché nasca un nuovo germoglio.
don Paolo Zambaldi

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