mercoledì, Novembre 20, 2024

Gesù diventa “impuro” (Mc 1,40-45)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).
In questa come in tante altre pagine della “Buona Notizia” si gioca la scommessa sul contrasto “puro/impuro”. Da contestualizzare, perché rifiuto ed esclusione, legati al concetto discutibile di “impurità”, esistono ancora. Si incontrano in un’infinità di ambiti in cui religioni e leggi sguazzano, imponendo mansionari di procedure e mozioni d’ordine quasi sempre lesivi della dignità e del rispetto dell’autentica umanità. Ritengo, in nome di un formalismo, più che di una “forma”, che con troppa superficialità, giudica “de-forme”, quindi lebbroso ed emarginabile, “Tizio, Caio e Sempronio”, solo perché difformi, appunto, da uno standard comune, omologato e controllabile.

Un lebbroso chi è? Una “formina” – come quelle che facevamo con la sabbia – uscita male dalle mani di Dio? Deforme, maledetta, ripugnante; per il mondo giudaico un castigo di Dio costretto all’esclusione, senza possibilità di relazione e condannato ad autodefinirsi “impuro”. Emarginato, dunque morto, un invisibile che, per essere nuovamente accolto in comunità, ha bisogno di un certificato di guarigione da parte di un sacerdote… 
Ma questo strano lebbroso di Marco non so se sia proprio una formina fallata. Forse non è una formina, è un trasgressore, un coraggioso alternativo, un uomo incatenato da una malattia, ma libero dentro: non solo non grida “sono impuro”, ma si avvicina, violando ogni legge, osa e provoca anche Gesù. Di fronte a questa de-formazione che non accetta l’esclusione si libera, infatti, anche la trasgressione di Gesù e la sua rabbia. Sì, la sua “rabbia”! Le nostre bibbie non hanno avuto il coraggio della traduzione letterale, così nella pagina di Marco e non solo in questa, troviamo un blando sentimento di “compassione” nei confronti del malato (splanchnistheis: preso da compassione). Invece Gesù letteralmente prova rabbia, va in collera (orghistheis), e si ribella al male, all’emarginazione, e si avvicina, violando la norma e tocca il lebbroso che tutti evitano, consapevole delle conseguenze. «Venne da Gesù un lebbroso…»: e fu l’incontro di due trasgressioni. Una lezione per il tempio e per la legge. Uno scandalo per le maschere religiose, mefitiche e pusillanimi, protese ad una santità formale, una lezione per i sacerdoti a “bassa frequenza di sentimenti” (sic Enzo Bianchi), e per gli scribi moderati, che temono le traduzioni letterali e inzuccherano i profeti per renderli innocui.

Non penso alle vittime del bacillo Mycobacterium leprae, piuttosto alla solitudine e all’emarginazione che, da sempre, colpisce le deformità più diverse. Mi interpella il paradossale isolamento di una deformità: quella del pensiero e del pensiero critico.

Spesso si percepisce di galleggiare su paludi di stupidità tronfia e proterva, dove zolle di terra pensante creano inevitabili movimenti tellurici e, dunque, vanno controllate, recintate, emarginate, come pericolose “terre dei fuochi”. Ma dei “cocci d’esilio” la Buona Novella, nuovamente, ha da dirci qualcosa. “La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo” (Mt, 21). Così Gesù, toccando lo scarto, guarisce due mali: quello del lebbroso e quello della comunità! Accoglie la deformità, la prende su di sé e, scavalcando il potere sacerdotale, restituisce alla vita sociale l’escluso, sconfiggendo l’emarginazione del dissenso. O no? Di fatto si genera una catena di dis-obbedienze, si spaccano le formine!

Nuova denuncia, nuovo reietto: giro di ruoli! Ha “toccato il deforme”: è contagiato! Dunque ora è Gesù l’impuro, non può più entrare pubblicamente in una città ed è costretto a starsene “fuori”. E così se ne starà fino alla fine: crocifisso “fuori” dalle mura di Gerusalemme.

La storia del lebbroso diventa la narrazione della maturazione di un’identità espulsa: dal tempio e dalla legge. Una costosa scelta di campo, ma un chiaro messaggio: “chi vuol seguirmi…”. Forse questa era l’intenzione del profeta, più che l’idea di fondare una religione, creare una squadra di sani espulsi: di fatto un “piccolo resto”, non un impero.

Suor Paola Pignatelli e suor Julieta Joao sono Figlie di Maria Ausiliatrici, Torino. Suor Pignatelli è animatrice del progetto per l’interazione fra donne straniere e italiane “Aperta Mente Cittadine” e del gruppo “Insieme per la Pace” nell’ambito del dialogo cristiano islamico

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