In questa come in tante altre pagine della “Buona Notizia” si gioca  la scommessa sul contrasto “puro/impuro”. Da contestualizzare, perché  rifiuto ed esclusione, legati al concetto discutibile di “impurità”,  esistono ancora. Si incontrano in un’infinità di ambiti in cui religioni  e leggi sguazzano, imponendo mansionari di procedure e mozioni d’ordine  quasi sempre lesivi della dignità e del rispetto dell’autentica  umanità. Ritengo, in nome di un formalismo, più che di una “forma”, che  con troppa superficialità, giudica “de-forme”, quindi lebbroso ed  emarginabile, “Tizio, Caio e Sempronio”, solo perché difformi, appunto,  da uno standard comune, omologato e controllabile.
Un lebbroso chi è? Una “formina” – come quelle che  facevamo con la sabbia – uscita male dalle mani di Dio? Deforme,  maledetta, ripugnante; per il mondo giudaico un castigo di Dio costretto  all’esclusione, senza possibilità di relazione e condannato ad  autodefinirsi “impuro”. Emarginato, dunque morto, un invisibile che, per  essere nuovamente accolto in comunità, ha bisogno di un certificato di  guarigione da parte di un sacerdote… 
Ma questo strano lebbroso di Marco non so se sia proprio  una formina fallata. Forse non è una formina, è un trasgressore, un  coraggioso alternativo, un uomo incatenato da una malattia, ma libero  dentro: non solo non grida “sono impuro”, ma si avvicina, violando ogni  legge, osa e provoca anche Gesù. Di fronte a questa de-formazione che  non accetta l’esclusione si libera, infatti, anche la trasgressione di  Gesù e la sua rabbia. Sì, la sua “rabbia”! Le nostre bibbie non hanno  avuto il coraggio della traduzione letterale, così nella pagina di Marco  e non solo in questa, troviamo un blando sentimento di “compassione”  nei confronti del malato (splanchnistheis: preso da compassione). Invece  Gesù letteralmente prova rabbia, va in collera (orghistheis), e si  ribella al male, all’emarginazione, e si avvicina, violando la norma e  tocca il lebbroso che tutti evitano, consapevole delle conseguenze.  «Venne da Gesù un lebbroso…»: e fu l’incontro di due trasgressioni. Una  lezione per il tempio e per la legge. Uno scandalo per le maschere  religiose, mefitiche e pusillanimi, protese ad una santità formale, una  lezione per i sacerdoti a “bassa frequenza di sentimenti” (sic Enzo  Bianchi), e per gli scribi moderati, che temono le traduzioni letterali e  inzuccherano i profeti per renderli innocui.
Non penso alle vittime del bacillo Mycobacterium leprae,  piuttosto alla solitudine e all’emarginazione che, da sempre, colpisce  le deformità più diverse. Mi interpella il paradossale isolamento di una  deformità: quella del pensiero e del pensiero critico.
Spesso si percepisce di galleggiare su paludi di stupidità  tronfia e proterva, dove zolle di terra pensante creano inevitabili  movimenti tellurici e, dunque, vanno controllate, recintate, emarginate,  come pericolose “terre dei fuochi”. Ma dei “cocci d’esilio” la Buona  Novella, nuovamente, ha da dirci qualcosa. “La pietra scartata dai  costruttori è diventata testata d’angolo” (Mt, 21). Così Gesù, toccando  lo scarto, guarisce due mali: quello del lebbroso e quello della  comunità! Accoglie la deformità, la prende su di sé e, scavalcando il  potere sacerdotale, restituisce alla vita sociale l’escluso,  sconfiggendo l’emarginazione del dissenso. O no? Di fatto si genera una  catena di dis-obbedienze, si spaccano le formine!
Nuova denuncia, nuovo reietto: giro di ruoli! Ha “toccato  il deforme”: è contagiato! Dunque ora è Gesù l’impuro, non può più  entrare pubblicamente in una città ed è costretto a starsene “fuori”. E  così se ne starà fino alla fine: crocifisso “fuori” dalle mura di  Gerusalemme.
La storia del lebbroso diventa la narrazione della  maturazione di un’identità espulsa: dal tempio e dalla legge. Una  costosa scelta di campo, ma un chiaro messaggio: “chi vuol seguirmi…”.  Forse questa era l’intenzione del profeta, più che l’idea di fondare una  religione, creare una squadra di sani espulsi: di fatto un “piccolo  resto”, non un impero.
