lunedì, Novembre 18, 2024

Come si può scegliere un Dio crocifisso e poi non stare dalla parte dei crocifissi della storia?

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).


La croce è ormai un “oggetto” di culto. Così onnipresente e così ignorata. Appesa solitaria nei luoghi pubblici, riprodotta come un gioiello qualunque, esaltata da molti “atei devoti” come simbolo di un’identità cristiana escludente e violenta.

 

Adorata nelle chiese come simbolo di redenzione. Baciata con tenerezza da chi “soffre” per quel povero Cristo crocifisso dai malvagi dell’epoca, ucciso dai nostri peccati…

 

Quanta retorica, quanta indifferenza, quanta ipocrisia.

 

La croce in realtà rimane un patibolo.

 

Il patibolo riservato ai delinquenti, ai reietti, a coloro che disobbediscono alle regole dell’impero, ai profeti, ai poveri che non hanno nessuno che li difenda.

 

La croce è il luogo dell’ignominia. Il luogo dell’abbassamento. Il luogo del non-potere.

 

Gesù, figlio di Dio, mite predicatore, uomo libero e profeta, messia atteso da un popolo intero, sceglie di esservi appeso perché nulla dell’umano potesse rimanergli estraneo.

 

Nemmeno l’ingiusta condanna, nemmeno la morte.

 

Su quella croce il Dio onnipotente, il Dio che sta nell’alto dei cieli, il Dio biblico della vendetta che stermina e uccide i nemici, il Dio contaminato da una visione umana di giustizia, ecco ora sceglie di stare “con i perdenti e gli oppressi”, con quelli che generalmente la società dei benpensanti respinge.

 

Per questo, davanti a quella croce, non possiamo più porci in atteggiamento devozionista e intimista.

 

Non possiamo identificarla solo con le nostre croci quotidiane, per quanto difficili da portare.

 

Non possiamo più non pensare, guardandola, a tutti i crocifissi della storia: popoli violentati da guerre scatenate dai potenti per rapinare i loro territori, persone costrette a lasciare la loro terra per sopravvivere alla fame e a condizioni miserabili di vita, testimoni e profeti sacrificati sull’altare dell’ortodossia, intere nazioni in balia di odi religiosi cavalcati con astuzia dai mestatori di turno. E che dire di coloro che sono crocifissi dai pregiudizi che oscurano la ragione e fanno prevalere quell’esclusione che spesso uccide più di un fucile.

 

Il popolo immenso degli oppressi muore ogni giorno su quella “croce” che noi tutti abbiamo costruito con la nostra indifferenza, i nostri pregiudizi, col nostro egoismo, con il nostro “cristianesimo” da quattro soldi.

 

Non si può essere seguaci di un Dio che ha scelto di essere crocifisso coi crocifissi e non farsi carico delle ingiustizie che i poveri subiscono.

 

Oggi assistiamo con orrore all’instaurarsi nell’Europa che orgogliosamente rivendica radici cristiane, di un odio insensato verso chi arriva da lontano per chiedere pane e rifugio. Si alzano muri, si spara, si picchia, si agitano pugni… Il recente odioso passato non ha insegnato nulla?

 

Ma si sa spesso la storia pare un’inutile maestra.

 

Ma noi che guardiamo quel crocifisso, noi che facciamo via crucis e adorazioni della croce, noi che in quaresima meditiamo la morte e la resurrezione di Cristo, come possiamo allo stesso tempo negarne così clamorosamente il senso?!

 

Per comodità, per abitudine, per infantilismo religioso.

 

Dobbiamo allora convertirci, invertire il nostro cammino, con coraggio e forza.

 

Dobbiamo superare quella visione “mistica” del Cristo, che lo riduce a un santino innocuo o a una figura “divinizzata” e perciò lontana nel tempo ed estranea ai tempi che stiamo vivendo.

 

Nel crocifisso, in tutti crocifissi della storia, dobbiamo riscoprire il senso della sequela.
don Paolo Zambaldi

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