Il movimento Me-too di denuncia delle violenze che le donne subiscono sul lavoro è (stato) interessante. Non so quanto potrà durare, perché sembra che anche le più giovani fidino molto su “movimenti” che, come dice la parola, sono traslazione di masse più o meno grandi per le vie di città e cittadine, dietro parole d’ordine che animano una lotta generalista.
Se risaliamo all’origine del mitico Sessantotto, dobbiamo ricordare che c’era stato un bel po’ di pensiero, da Sartre e Marcuse a De Beauvoire e il femminismo americano (per i due generi). Oggi non manca il pensiero, ma va in ordine sparso e gli e le intellettuali si occupano di molti dei problemi che riguardano innumerevoli questioni e conflitti attuali, ma non sono in sintonia omogenea con i “movimenti”. Siamo tutti senza respaldo critico e di pensiero: mancano tendenze filosofiche e, soprattutto, analisi in qualche modo conclusive – e liberatorie – dei processi di de-ideologizzazione che hanno reso evidente il voltare pagina della storia il cui libro nessuno ci insegna a sfogliare.
Per le donne un ostacolo in più o un’opportunità? Il dubbio nasce perché non si vedono appelli in nome della ragione (femminil-femminista? o neutra?) che vadano dentro un punto cruciale reso esplicito in questi mesi: non si tratta più dei femminicidi e delle botte, ma delle mani degli uomini sul nostro corpo, delle false carezze, degli sguardi offensivi. Entriamo in un terreno in cui vale il confronto “parola di donna” vs. “parola di uomo”.
Perché non si porta in tribunale l’importuno che sussurra un complimento che è secondo qualunque vocabolario è un’offesa, l’amico di nostro padre la cui mano non è paterna, tanto meno si può denunciare lo sguardo equivoco di chi pensa di portarti a letto e che ogni donna sa non essere lo sguardo di chi semplicemente ti corteggia. E’ in questione, infatti, il costume. Anche quello delle donne che “gradiscono” o che si giovano della propria seduttività come carta da giocare in qualunque carriera.
Infatti, comunque, è il costume che va cambiato. Ma sono necessari degli approfondimenti da parte dei gruppi di riflessione, delle analisi sulla (e sulle) soggettività di genere, una strategia. Non basta dire Me-too. Il “movimento” di per sé si esaurisce. Forse, a stare ai media, si è già esaurito.