ABRAMO E ISACCO
(Gen 20,1-25,18)
Testi liberamente tratti da :
-Brueggemann W., Genesi, Torino, Claudiana, 2002;
1)Nascita di Isacco (Gen 21,1-21)
2)Sacrificio di Isacco (Gen 22,1-19)
3)Matrimonio tra Isacco e Rebecca (Gen 24,1-67)
4)Morte e genealogia di Abramo (Gen 25,1-18)
1)La nascita di Isacco
a)Tra l’uno e l’altro dei pezzi su Abimelec ecco finalmente il racconto della nascita dell’erede tanto atteso. In 21,1-18 si ha l’adempimento centrale dell’intera tradizione abramitica. La nascita del bambino è l’avverarsi di tutte le promesse, il risolversi di tutte le ansie. Eppure il racconto è così singolarmente privo di enfasi che quasi si rischia di non afferrarne l’eccezionalità. Tranne che per l’accenno alla “vecchiaia” (vv.2.7), quasi non si ammette che vi siano stati problemi.
Ma ciò non sminuisce affatto il carattere cruciale del testo. Tutto dipende da questo evento. E questo è evidente sin dal versetto iniziale con il duplice refrain: ”Come aveva detto”, “come aveva annunziato”. Questa non è una nascita ottenuta per via naturale. Questa è una nascita ingiustificata in tutti i sensi, che avviene unicamente in virtù della promessa di Dio. Il testo collega parola di Dio e nascita del bambino. L’intera storia , a ben vedere, dipende da questo collegamento, che ribadisce che progetto eterno di Dio e realtà biologica non sono separabili.
La Chiesa, nella concreta pratica della fede, si è sempre trovata a combattere contro due tentazioni: da un lato la tendenza a un’eccessiva spiritualizzazione della parola di Dio a scapito della concretezza carnale della nascita. Dall’altro, la tendenza a un’eccessiva attenzione alla realtà mondana della nascita, a scapito dell’importanza della parola di Dio.
Questi due pericoli si ripropongono nella nostra interpretazione della nascita di Gesù. Chi esagera l’importanza della nascita virginale tende a negare il ruolo non solo del padre ma anche della madre umana. All’estremo opposto, chi non tollera lo scandalo (della verginità di Maria) ritiene che la dottrina di una nascita soprannaturale non sia che vuota retorica teologica. Il problema di esprimere fedelmente il sottile equilibrio di questa dottrina è il problema chiave di una fede incarnazionista: la vita viene solo dalla promessa; la promessa viene solo nella carne di quanti non hanno speranza.(=sterilità,verginità)
Come la nascita di Gesù dunque, anche quella di Isacco è annunciata da angeli, ma non è avulsa dallastanca e senile realtà di Abramo e Sara. La promessa si adempie nella viva concretezza della carne.
Ritornando al tema della parola di Dio (la promessa) i biblisti, nell’interpretare la tradizione patriarcale, hanno riconosciuto appieno la straordinaria importanza della promessa in questi testi. Ciononostante è evidente che nella maggior parte dei contesti odierni, è compito assai difficile, rendere un’efficace testimonianza al carattere promissorio della fede. Per farlo è necessario abbandonare la nostra visione del mondo prosaica, che non crede alla parola di Dio come forza attiva in grado di cambiare il mondo. Noi tendiamo invece ad adattare in qualche modo questo strano mistero alla nostra ragione, per non farci turbare da questo evento inesplicabile.
Il miracolo (e questa è una nascita miracolosa) non è una violazione di un ordine naturale. E’ la concreta attestazione che Dio è fedele alle sue promesse. Il miracolo è averci nuovamente rivelato che non siamo vincolati dalla necessità, ma dalla libertà dell’amore di Dio, offerto in fedeltà.
Per questo Sara ride (v 6) (“Dio mi ha dato di che ridere”). Con la sua parola potente Egli ha spezzato la morsa della morte, della disperazione, della sterilità.
b)L’altro figlio. I versetti 9-21 trattano dell’incompatibilità tra il figlio della promessa e il figlio della serva.
E ’complesso il conflitto tra i due figli, tra le due madri, e con l’indeciso, riluttante padre (Gen 16). Isacco è il futuro, ma Ismaele non è disposto a lasciarsi mettere da parte tanto facilmente. Ha dei diritti. E’ il primogenito di Abramo. Non è un figlio adottivo, non è un intruso: è nato dall’uomo della promessa. E Abramo non è disposto a rinunciarvi (“Abramo disse a Dio :”Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te!” Gen 17,18). Egli non è ancora pronto ad abbandonare le tradizioni della primogenitura.
Ma quel che più conta, Dio aveva già fatto una promessa a Ismaele. (“Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla per la moltitudine” Gen16,7-12).
Nel mezzo del racconto che tratta di Isacco, viene riservato ancora ampio spazio alla promessa che Dio rivolge ad Agar di fare di Ismaele una grande nazione(v.18), e all’affermazione che Egli è con Ismaele(v.20) non meno che con Abramo(v22).
Il testo è chiaro: Isacco è il figlio della promessa. Su questo non c’è dubbio. Il narratore sa che bisogna esporre la storia “canonica”. E quella storia ha come protagonista Isacco. Ma il testo è altrettanto chiaro riguardo al fatto che Dio ha a cuore Ismaele. L’ ”altro figlio” non deve essere estromesso dalla famiglia.
Il racconto ci mantiene in quello stato di tensione che ricorre spesso nella Bibbia, la tensione tra l’eletto e il non-eletto che però è egualmente amato. Certo la promessa che riceve Ismaele è inferiore a quella di Isacco. Ma è comunque una promessa notevole, da non disdegnare. Dio si mostra premuroso verso l’emarginato. Egli sa ricordarsi di tutti i suoi figli. La libertà di Dio non è limitata né dalla sterilità, né dalla vecchiaia, né dalla primogenitura. Dio solo ha il potere di far nuove tutte le cose. (Figliol prodigo)
2)Il sacrificio di Isacco Gen 22,1-19
Questo capitolo è tra i più noti e teologicamente complessi dell’intera tradizione abramitica. Pone scottanti interrogativi sulla natura della fede e sull’atteggiamento di Dio verso il fedele. Per più versi rappresenta l’acme drammatico della tradizione abramitica.
Abbiamo considerato Abramo come colui che accoglie la chiamata di Dio. Con qualche esitazione egli è stato un uomo di fede. Lo si è visto nella sua prontezza a partire, nella sua risposta alla promessa, nella sua accettazione della circoncisione. Tutto ciò è stato ricompensato con la nascita di Isacco. Se la storia si concludesse qui, quello che avremmo, sarebbe un racconto delle origini.
Ma nel testo che ora prendiamo in esame accadono fatti del tutto inattesi. Solo ora scopriamo quanto impegnativa sia la fede. Questo non è un racconto delle origini ma la storia di una fede tormentata.
Le difficoltà della sua interpretazione iniziano con l’immediata avversione che suscita un Dio che ordini a un padre di uccidere il proprio figlio.
“Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui che ami, Isacco”…v2
“Non mi hai rifiutato tuo figlio, l’unico tuo”…v12
Questi due versetti circoscrivono il dramma. Il primo provoca la crisi. Il secondo la risolve. Essi manifestano l’imperscrutabile intenzione di Dio. Perchè prima chiede il sacrificio di Isacco e poi lo ferma?
Qual è l’atteggiamento di Abramo di fronte a questo comportamento di Dio?
A)L’interazione tra Abramo e Dio
Il racconto pone Abramo di fronte a una parola.
-per tre volte Abramo è chiamato, e per tre volte risponde “eccomi”. Questo è ciò che sappiamo sulla posizione di Abramo. Che lo chiamino dal cielo o dalla terra egli è pronto al dialogo, non si sottrae, risponde.
Essere chiamato è sapere di dipendere da un altro, di non detenere l’iniziativa per la propria esistenza.
Abramo questo lo sa. E’ questa la sua obbedienza radicale. In questo racconto non discute, non rimanda, non resiste (come in altri racconti), qui la sua risposta è pronta e incondizionata.
-il versetto 8 “Dio provvederà” è un a dichiarazione di fede e fiducia assoluta, e per di più al buio. Abramo non risponde a tutte le domande di Isacco, perché egli stesso non sa. Ma la sua fiducia è senza riserve.
“Riponi la tua sorte nel Signore;
confida in lui ed egli agirà (Sal.37,5)
Abramo confida esclusivamente nel Dio che provvede, lo trova imperscrutabile, ma degno di fede.
B) mettere alla prova e provvedere.
Il racconto conduce a una nuova rivelazione di Dio. All’inizio è colui che mette alla prova (v1). Alla fine è colui che provvede (v14). Dio si rivela tanto liberamente sovrano quanto magnanimamente fedele. Il fatto che provveda rivela la sua grande fedeltà. Il fatto che metta alla prova rivela la sua libera sovranità. (Dio è Dio). Abramo scopre che le due caratteristiche di Dio sono sempre abbinate. Il problema di questo racconto è accettare sia l’oscuro ordine di Dio che la sua luminosa promessa.
La fede è la disponibilità a rispondere a questa strana contraddizione presente in Dio.
C) che vuol dire per noi mettere alla prova e provvedere.
-Il racconto suscita questo interrogativo su Dio: davvero Dio mette alla prova?
Il mettere alla prova non è un concetto marginale per la fede di Israele. Si tratta di un concetto che ha ragion d’essere solo in una fede in cui un unico Dio esiga una fedeltà indivisa. I tempi della prova per Israele e per tutti noi che di Abramo siamo eredi, sono quei tempi in cui trovare un’alternativa a Dio più semplice e meno esigente è una tentazione fortissima. Le prove che subiamo nella storia, quelle che vengono da Dio, ci portano a scoprire se ciò che diciamo della nostra fede, cioè che si fonda solo sul Vangelo, lo intendiamo sul serio.
Sofisticati come siamo, forse troveremo primitivo il concetto di “mettere alla prova”. Ma non ci dobbiamo consolare pensando che questo è l’Antico Testamento. La stessa tematica è ribadita anche nel Nuovo Testamento chiaramente.
Non c’è luogo anzi, in cui sia più visibile che nel Padre Nostro. Come suona strano che dei credenti tiepidi e per nulla tormentati preghino regolarmente: “Non ci indurre in tentazione” (Mt 6,13). La preghiera che Gesù ci raccomanda di rivolgere al Padre è che non ci metta in una situazione di prova, in cui saremmo costretti a scegliere, decidere e rischiare per la nostra confessione di fede. La preghiera tradisce il timore che se ci toccasse una simile prova non ne saremmo all’altezza.
Una dimensione della prova è la tentazione di compiacere il mondo, di cedere a quelle pressioni che portano a una fede di compromesso. Le prove mettono in evidenza il profondo conflitto tra i progetti di Dio e gli obiettivi dell’età presente. E in genere noi credenti tremiamo al pensiero di dover prendere una decisione. Pochi rispondono con la prontezza di Abramo.
-Ma il testo pone anche un secondo interrogativo su Dio.
Davvero Dio provvede?
Il racconto inizia con Dio che mette alla prova e finisce con Dio che provvede. Accettare questa seconda affermazione comporta da parte di Abramo un atto di fede non meno radicale di quello necessario per accettare la prima. Infatti equivale ad affermare che solo Dio, e nessun altro, è la fonte della vita. Il montone che sostituisce Isacco non compare per caso, è opera dello stesso Dio che mette alla prova e poi per grazia risolve la prova.
L’Antico Testamento riconosce anche altrove la presenza dell’azione provvidenziale e benevola di Dio, per esempio nell’episodio della manna (Es 16,15), nel riconoscimento dell’intrinseca bontà della vita (Sal 104,27-30; 145,15-19). Dio è colui che è attento alle necessità e ai bisogni, anche molto concretamente materiali, delle sue creature.
La stessa affermazione radicale su Dio come colui che provvede è presente nel nuovo testamento. La stessa Chiesa che prega per non essere messa alla prova, invoca la divina provvidenza. Pertanto la Chiesa prega per il pane quotidiano. La comunità neotestamentaria confessa che è soltanto il sostegno di Dio a rendere la vita possibile.
“Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?” (Mt6,30-31)
In un mondo dominato da umanesimo, scientismo e naturalismo, affermare che solo Dio provvede non è meno scandaloso che affermare che Dio mette alla prova.
3)Matrimonio tra Isacco e Rebecca (Gen24,1-67)
Il ciclo di Abramo ha ormai compiuto la sua parabola e raggiunto il suo traguardo. Nei capitoli che seguono avremo a che fare con tre elementi del trapasso della promessa alla generazione di Isacco: a) la morte della madre, b)una sposa per il figlio ed erede e c) la morte del padre.
Il racconto b) si può suddividere in 4 parti:
-vv1-9 Abramo e il servo innominato
-vv11-27 il servo e Rebecca
-vv28-61 il servo e i parenti di Rebecca
-vv62-67 Isacco e Rebecca
Particolare attenzione meritano i seguenti motivi:
– Tutta la famiglia e l’intero mondo di Abramo è copiosamente benedetto (il tema della benedizione si ripete lungo il racconto) v.1; v.31;v.27
-Strettamente connesso il tema del successo, che ricorre in tutta la storia(vv.21,40,42,56) Il servo prega Dio perché gli permetta di concludere con successo il suo incarico (cioè di trovare una sposa bella ricca vergine nobile per Isacco).
-Abbiamo già osservato che l’uso del vocabolo bontà a fedeltà è importante perché definisce un rapporto veramente profondo e sincero. La coppia ricorre due volte qui. Viene chiesta (v 12 e 14) e ottenuta da Dio (v 27) e chiesta e ottenuta da Labano (v49).
– un quarto motivo è l’invisibile imperscrutabile guida divina. Anche il servo sa di essere stato guidato (v.27), anche se YHWH non ha fatto nulla direttamente. Questa dunque non è anzitutto e perlopiù un’esposizione delle gesta di Dio (come in altre parti del ciclo di Abramo), ma un’esposizione di cosa significhi vivere in un’ atmosfera (ethos)in cui tutta la vita viene accettata e percepita come dono del Padre e dunque avere una visione del mondo in cui non ci sono parti dell’esperienza che si situino fuori del Suo progetto.
A dispetto della sua apparente ingenuità, questo racconto è una matura e profonda riflessione sulla fede. Insegna a leggere retrospettivamente, negli eventi, la bontà e la fedeltà di Dio. La stessa lettura della Bibbia ci fa scorgere a posteriori il filo rosso della promessa di salvezza che attraversa la storia, permette di discernere l’ intervento prodigioso di Dio in eventi che nell’immediato potevano essere attribuiti ad altre cause
In una cultura alla spasmodica ricerca di segni visibili della fede, incline allo scientismo e attratta dalle ciarlatanerie religiose, questa storia scredita ogni scorciatoia e caricatura della fede. Gli interventi di Dio non sono spettacolari, ostentati, magici. L’individuo perviene alla rivelazione di Dio grazie a un sobrio discernimento e alla disponibilità a credere che la quotidianità possa essere trasformata.
3)Morte e genealogia di Abramo
Il terzo elemento di questa sezione (25,1-18) narra la morte di Abramo e il definitivo trasferimento della promessa a Isacco.
Su questo testo possono essere utili le seguenti osservazioni:
-i versetti 5-6 trattano del rapporto tra Isacco e Ismaele. Non c’è qui nessuna negatività nei confronti degli altri figli; non sono ripudiati o poco considerati, anzi, Abramo ha per loro le dovute premure. Ma il testo precisa la differenza qualitativa. Mentre gli altri ricevono “doni” (v6) a Isacco egli diede ”tutto ciò che possedeva” (v5). Il testo enfatizza la diversità tra l’elezione alla promessa e una generosità che si estende a tutti i popoli.
-i versetti 7-10 possono essere usati per riflettere su cosa sia una buona morte. Abramo ha vissuto una vita lunga e benedetta. Si è ben preparato alla morte. E la sua morte è serena, perché muore circondato dalla sua discendenza e consapevole di aver trasmesso tutte le cose di valore che possedeva. Inoltre muore in seno a una comunità nella quale egli aveva vissuto intensamente. Perciò la sua è una morte nel segno della speranza.
– il versetto 9 nota che alla sepoltura provvedono entrambi i figli. Il figlio del diritto e il figlio della promessa. Questo dato è indice anche di una certa solidarietà tra fratelli. Senza dubbio la storia propende per Isacco. E tuttavia non sconfessa Ismaele e i suoi diritti (come risalta anche nella genealogia ai vv.12-18). Ismaele è indubbiamente un modo inatteso di concludere il ciclo di Abramo, ma permette di supporre che la casa di questo Padre abbia più di una dimora.
“(…) nella casa del Padre mio vi sono molti posti..”Gv14,2