venerdì, Novembre 22, 2024

Apocalypse Now?

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Nel XVIII sec. a. C. gli Hyksos arrivarono a controllare buona parte dell’Antico Egitto. Ricordo di aver letto, molti anni fa, lo scritto di un sacerdote egizio che lamentava il grande disordine in cui si trovava il suo Paese e prevedeva che, non potendo le cose andare più avanti così, la fine del mondo doveva ormai essere vicina.
Molti hanno previsto la fine del modo, in epoche e culture da noi più o meno lontane. Sbagliando. È pure ben noto che molti nelle prime generazioni cristiane attendessero la “fine dietro l’angolo”, sperando di solito nel ritorno di Cristo in gloria, e che il tema sia emerso regolarmente nella nostra storia da Gioacchino da Fiore agli anabattisti di Münster, fino ai seguaci di David Koresh a Waco, Texas. Spesso la fine è giunta davvero, ma solo per gli “apocalittici”, regolarmente e crudelmente distrutti da quanti apocalittici non erano e non sono.
Ho detto questo perché, da storico quale ritengo di essere, non corro dietro al primo profeta di passaggio e non credo di avere un animo particolarmente apocalittico. Ma adesso c’è la questione di Papahanaumokuakea.
Dubito che qualcuno dei nostri lettori ne abbia mai sentito parlare. Si tratta del Papahanaumokuakea Marine National Monument e del Pacific Remote Islands Marine National Monument, piccoli paradisi protetti nel Pacifico, la cui esistenza è ora a rischio per due decreti (Executive Order 13792 e Executive Order 13795) del Presidente Trump. Questi, infatti, sono due dei 27 “Monumenti Nazionali”, cioè zone protette, ora soggetti a “revisione”: l’Amministrazione dovrebbe cioè decidere se declassarli da “monumenti nazionali” per permetterne lo sfruttamento parziale o totale agricolo, minerario, estrattivo, del legname, dell’allevamento intensivo… Naturalmente, sto firmando tutte le petizioni possibili per impedire che si mettano a perforare i fondali nei pochi luoghi ancora non distrutti o per salvare qualche foresta o perché l’imperdonabile fracking non raggiunga qualche ultimo angolo statunitense ancora illusoriamente intatto. Nel frattempo, però, l’Amministrazione ha “alleggerito” le norme anti-inquinamento per le acque di superficie e per i gas di scarico.
E intanto il caldo aumenta.Mi dicono che nell’Antartico una fetta di ghiaccio ampia quanto il Delaware (quasi due volte la Val d’Aosta, per intenderci) si sta staccando e finirà a sciogliersi nell’Oceano. In California, han problemi con le viti e alcuni vorrebbero abbattere le famose sequoie per impiantare vigneti. Sulle Langhe piemontesi – e questo l’ho visto io – girano autobotti piene non di vino, ma d’acqua, per darne alle barbatelle delle nuove vigne, che morirebbero nell’arsura africana di queste settimane. Non era mai successo in passato, perché le viti amano l’arsura estiva. Ma quest’anno batteremo di nuovo qualche primato meteo. Un amico enologo mi ha spiegato che stanno approntando strumenti per “de-alcolizzare” il vino: il troppo caldo non fa solo anticipare le vendemmie, ma fa aumentare lo zucchero nell’uva e quindi l’alcol, al punto da rendere imbevibile il vino come vino. In Francia, infatti, in certe zone si stanno attrezzando a produrre nuovi liquori invece del vino. Ma secondo l’ineffabile Trump, il Climate Change se lo sono inventato i cinesi, per motivi di commercio internazionale. Queste non sono, purtroppo, visioni di qualche profeta sgangherato e vagabondo, ma notizie verificabili di cronaca. 

Fra le email di ieri, me ne è arrivata una dal Catholic Climate Covenant: richiamandosi a San Francesco e a Papa Francesco, invitano a pregare “con e per il Creato”.
Se siamo arrivati alle preghiere, vuol dire che l’apocalisse questa volta è davvero dietro l’angolo? 
(Edmondo Lupieri, Adista Segni Nuovi n° 39 del 11/11/2017)

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