Secondo uno studio dell’Istat, pubblicato nel 2016, il 21,5 percento delle donne fra i 16 e i 70 anni, pari a 2 milioni e 151 mila, avrebbe subito comportamenti persecutori da parte di un ex partner nell’arco della propria vita. Quasi il 10 percento quelle che sono state vittima di stalking “grave”, mentre sarebbero circa 2 milioni e 300mila le donne che nell’arco della propria vita hanno subito comportamenti persecutori da persone diverse dagli ex partner. I dati del ministero dell’Interno confermano che dall’entrata in vigore della nuova norma nel 2009, le denunce sono aumentate anno dopo anno, fino a stabilizzarsi a partire dal 2014.
Ma i frutti della norma del 2009 rischiano di essere vanificati. Con la legge di riforma del sistema penale, la cosiddetta riforma Orlando, approvata in via definitiva il 14 giugno e in vigore dal 3 agosto, nel codice penale è stato introdotto il nuovo articolo 162ter, che prevede la possibilità dell’estinzione di alcuni reati a seguito di “condotte riparatorie”, cioè del pagamento di un risarcimento in denaro. Interessati dal provvedimento sono i reati a querela remissibile, tra cui anche le forme di stalking “non gravi”. Oggi, quindi, una volta presentata un’offerta di risarcimento da parte del presunto molestatore, sarà il giudice a valutare se la somma è congrua e potrà quindi decidere di estinguere il reato, anche senza il consenso della vittima.
Loredana Taddei – responsabile delle politiche di genere della Cgil nazionale, commenta: «Cgil, Cisl e Uil sono stati i primi a denunciare questa anomalia, cioè che nel pacchetto intercettazioni votato alla Camera sarebbe rientrato anche il reato di stalking. All’inizio c’è stata una reazione scomposta e direi anche superficiale di alcuni esponenti del Governo che ci hanno addirittura accusati di diffondere fake news. Però quando sono scesi in campo magistrati come Eugenio Albamonte o avvocati come Giulia Bongiorno, sono dovuti correre ai ripari».
Alla fine ha prevalso la linea della possibilità di revoca. Ma nella legge è stata successivamente inserita una modifica, con la cosiddetta legge sul femminicidio del 2013, che stabilisce che la querela non può essere ritirata se le minacce sono di tipo “grave”, cioè commesse per esempio con le armi o da una persona irriconoscibile. Proprio il rischio di riaprire il dibattito di otto anni fa sarebbe il motivo che ha spinto, per ora, il ministro della Giustizia a non prendere provvedimenti. «Tra le femministe – spiega Taddei – l’irrevocabilità è sempre stato un motivo di scontro e secondo me quando ci si è resi conto che si rischiava di risollevare un polverone si è scelto di soprassedere. È quello il nodo vero. Però nel frattempo sono passati tre mesi e non si è ancora fatto nulla per correggere l’errore».
«Non penso che ci sia stata una volontà precisa di sminuire la legge sullo stalking – dice l’avvocata Garisto – credo davvero che si sia trattato di una svista e forse questo è un fatto ancora più grave. Vuol dire che non c’è ancora consapevolezza della gravità del fenomeno e nemmeno di cosa voglia dire per una persona affrontarlo. Le donne non denunciano certo perché vogliono soldi, denunciano perché cercano protezione dalle istituzioni».
Sempre secondo il report dell’Istat, nonostante la vastità del fenomeno, al 2014 ben il 78 percento delle vittime non si era rivolta ad alcuna istituzione e non aveva cercato aiuto, mentre solo il 15 percento si era rivolta alle forze dell’ordine. C’è da temere che i numeri peggiorino nei prossimi mesi: da settembre i tribunali lavorano di nuovo a pieno regime e molte donne rischiano di vedere i propri persecutori cavarsela pagando una semplice multa, tra l’altro quasi certamente di piccola entità. «Non abbiamo ancora esperienza per fare ipotesi – chiarisce Garisco – ma di sicuro il giudice valuterà la situazione economica delle parti per decidere. Se proprio devo fare un pronostico, temo che in media un risarcimento non supererà i 1000 euro».