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Lectio Biblica: La Genesi (incontro del 30 ottobre 2017)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

IL DILUVIO/NOÉ (Gen 6,5-9,17)
Testi liberamente tratti da :


-Brueggemann W., Genesi, Torino, Claudiana, 2002;

ANALISI DEL TESTO

La storia del diluvio è tra gli episodi biblici più noti. Pur attingendo a una comune tradizione religiosa di storie che hanno per oggetto un cataclisma, questo testo se ne serve per esprimere le asserzioni teologiche proprie della fede di Israele. Per questo come vedremo il racconto si è significativamente diversificato dalle tradizioni più antiche.

Contrariamente alle interpretazioni popolari inoltre riteniamo che il fulcro del racconto non sia il “diluvio” (inteso come punizione/stereotipo) ma il cambiamento che si verifica in Dio, un cambiamento che rende possibile un nuovo inizio per la creazione.

1.IL TEMA DEL DILUVIO 

Nel momento della creazione Dio aveva cercato di dar forma a un progetto che prevedeva unità, armonia, bontà. Ma esso non si è realizzato. Dio aveva progettato una creazione disciplinata dal riposo sabbatico. Ma la creazione è recalcitrante, resiste ai progetti di colui da cui e per cui il mondo esiste. E su di essa viene emesso un verdetto di incongruenza.

La sostanziale frattura prodottasi tra creatoree creazione è la premessa e la tematica dominante del racconto del diluvio.

2.IL TESTO E IL COMPITO CHE CI ATTENDE

Come Gen 1,1-2,4 anche questo non è un testo di storia, cioè un resoconto dettagliato di ciò che realmente avvenne. Senza dubbio ci sono qui riferimenti a un cataclisma che lasciò tracce nei ricordi di varie culture. Ma è assai inverosimile ad esempio che i dati storici sottesi a questo racconto possano essere recuperati (ovvero usati come fonti o spunti per una ricerca!). Il ritrovamento dell’arca sull’Ararat è un’impresa discutibile e probabilmente destinata al fallimento. Se anche poi questi dati venissero recuperati , non avrebbero serie ripercussioni sulla nostra interpretazione. 

Questo racconto non si preoccupa dei dati storici, ma del cambiamento che avviene nel cuore di Dio e che incide sulla sua creazione.

Con altrettanta fermezza va smentito che questo sia un “mito” sorto in Israele al pari di tante altre culture antiche. Un approccio simile che si serve della letteratura comparata, potrà appagare la nostra tendenza al razionalismo, ma interpreterebbe il testo come un enunciato universale sulla natura vulnerabile del cosmo.

La narrazione della Genesi non è invece un enunciato universale (sul mondo), ma il racconto del patto specifico, unico che Dio ha fatto con Israele.

Ciò che qui abbiamo dinnanzi è una proclamazione, l’annuncio di ciò che Dio ha fatto nei confronti del mondo scisso e disarmonico. Il testo afferma che ciò che Dio ha fatto, ha decisamente mutato la situazione di tutte le creature.

La proclamazione è anche un monito. Annuncia che Dio ha metodi di inaudita potenza per condurre il mondo alla sua visione di unità, ordine e armonia.

3.INIZIO, COCLUSIONE E SVOLTA CRUCIALE DEL RACCONTO

a)L’inizio v.6,5-7,12

Dio ha concluso che il mondo ha tradito il suo progetto. Egli si confronta con questa realtà con grande severità. I termini usati per designare il pervertimento del mondo sono diversi: “malvagità” (v.5), “malvagi” (v.5), “corrotta/i” (vv.11-12), in definitiva pieno di violenza. A nessuno di questi termini viene dato un contenuto particolare, specifico, ma i precedenti racconti sull’uomo e la donna, lasciano intendere che il problema risiede nel fatto che la creazione si è rifiutata di essere la creazione di Dio, di riconoscere Dio come Dio. In vari modi la creazione “ha mutato la verità di Dio in menzogna e (…) adorato e servito la creatura invece del creatore” (Rm 1,25; Ger 2,11; Os 4,7). 

L’accusa è severa e il verdetto è di morte per il mondo intero!

L’accusa è seguita da una inflessibile risoluzione da parte di Dio, distruggere la creazione che ha rifiutato di essergli obbediente:

“Io sterminerò la faccia della terra”v.6,7

“Io (…) distruggerò” v.6,13

“Io sto per far venire il diluvio (…) per distruggere” v.6,17

Se l’inizio della storia del diluvio sostenesse solo questo, il testo sarebbe piatto e monocorde.

Invece ci sono altri due motivi che lo rendono assolutamente audace:

Il primo è che il racconto ci invita a penetrare nel cuore di Dio (“Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo” Gen 6,6).

Il versetto 6 non ci mostra un tiranno adirato, ma un padre addolorato per l’alienazione del mondo. Non è in collera, è affranto. Non si contrappone alla sua creazione, le si pone a fianco. Il cuore malvagio degli uomini addolora il cuore di Dio. Siamo di fronte a un ”cuore a cuore” tra l’umanità e Dio.

Significativamente i dolori che Lui aveva assegnato alla donna ora è Lui a provarli (nel testo ebraico infatti si usa lo stesso termine ‘asav עָצַב che significa “dolore”).

Il secondo elemento arricchente in questo incipit è la figura di Noè (Gen 6,5-7,12). Nella lingua ebraica Noah נח significa “riposo, l’uomo sereno”. Egli è il depositario di una possibilità alternativa. La prima volta che lo si menziona viene detto che egli “trovò grazia agli occhi del Signore”.

Quando compare, di lui non sappiamo nulla. Ma Dio e il Narratore ne sanno quanto basta. Noè è giusto e integro. Egli infatti “cammina con Dio”. In questa fosca storia di dolore, è il solo a incarnare una nuova possibilità. Il Narratore lo contrappone al flusso della storia. C’è l’annuncio del diluvio, della morte e della distruzione imminenti. Poi si dice: ”Ma Noè trovò grazia(…)” v.8 soggiungendo “Ma io stabilirò il mio patto(…)” v.18. Il Narratore vuole che chi ascolta sia colpito dalla figura di Noè, vuole che sappia che in questo rapporto tormentato tra Dio e la creazione c’è la possibilità di un’alternativa. Noè è la nuova creatura, è l’uomo ricettivo disponibile, che accetta la propria creaturalità e lascia che Dio sia Dio. (“Noè fece tutto quello che Dio gli aveva comandato” v.6,2). Egli è un modello di fede come non ne erano ancora apparsi nel racconto biblico. Egli testimonia che anche in questo mondo dilaniato la fede è possibile!

b)La conclusione v.8,20-9,17

Se ora passiamo a considerare la conclusionedel racconto constateremo che il dolore di Dio e la nascita di una nuova umanità hanno superato il rigore del processo.

Il diluvio ha fine. La vita ricomincia. Il problema dell’incipit del racconto si è risolto non con una distruzione, come ci si sarebbe aspettati. La soluzione non nasce dal ravvedimento della creazione, ma dalla decisione del cuore di Dio di dar vita a qualcosa di nuovo.

La conclusione si può dividere in tre parti:

La prima di esse dà inizio a una nuova storia (v.8,20-22). “Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali puri e di uccelli puri e offrì olocausti sull’altare. Il Signore ne odorò il profumo gradito e disse in cuor suo: «Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto.»”(Gen 8,20-21).

Dio parla in “cuor suo”, in quello stesso luogo in cui prima lottava (Gen 6,6). Facendo riferimento al cuore di Dio il narratore stabilisce un chiaro collegamento tra Gen 8,20 e Gen 6,6 (“E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo.”).

Dio giunge dunque ora a due considerazioni:

-L’umanità è incorreggibile, la creazione non è cambiata è profondamente ostile al progetto di Dio. Tutto l’orrore dell’immane catastrofe del diluvio non ha cambiato nulla. La speranza per il futuro non può basarsi su pii desideri o sulla disponibilità dell’uomo: può basarsi soltanto su un gesto di Dio.

La seconda considerazione di Dio si trasforma in una decisone rivoluzionaria. Dio decide che resterà a fianco del mondo, lo sopporterà e lo sosterrà a dispetto della malvagità umana. Non permetterà che la caparbietà dell’umanità lo induca a desistere dal grandioso disegno che ha concepito per la creazione. Certo Dio era già empaticamente legato alla sua opera fin dall’ inizio. Ora però il coinvolgimento si è intensificato (…anche a causa del dolore del tradimento!) ed avviene a caro prezzo. Infatti ora il rapporto non è più quello di un Dio potente e un mondo impotente, ma è un rapporto tormentato tra un Dio addolorato e un mondo che gli resiste. E fra i due, i veri cambiamenti avvengono in Dio. Questa è un’intuizione fondamentale della buona novella che si contrappone a tutte quelle concezioni secondo cui Dio si colloca al di fuori dell’ambito del dolore ed è unicamente giudice. 

Qui la decisione di Dio ricorda la profezia di Isaia che parla agli esuli disperati :

“«Tu non temere, perché io sono con te;

non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio»” (Is 41,10).

“«Non temere perché io ti ho riscattato,

ti ho chiamato per nome; tu sei mio!

Quando attraverserai i fiumi essi non ti sommergeranno»” (Is43,1-2).

Come Israele non viene abbandonato in esilio, così la creazione non viene abbandonata al caos della sua disobbedienza.

Sullo spogliarsi di Dio (Fil 2,5-11) si basa il nuovo mondo ora chiamato all’esistenza (“Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Gesù Cristo il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo(…).”.

La seconda parte (v.9,1-7) ribadisce che alla creatura umana, a cui erano già stati conferiti poteri sul resto della creazione, viene nuovamente affidato un ruolo di dominio (Gen 9,1-7). In Gen 1,26 l’uomo doveva dominare sui pesci, uccelli e animali della terra. Ma ora la Nuova Creatura deve presiedere sull’umanità, per perfezionarla, esaltarla, glorificarla. Questa è una visione ancor più sublime della realtà umana.

La disposizione riguardante il sangue (v.4 “soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue” ) non è ora isolata. Se in origine può essere stata una norma cultuale, ora è un tassello di una formidabile barriera contro la dis-umanizzazione. Un’antica norma cultuale riguardante il sangue è stata trasformata in un’affermazione solenne sulla vita e la dignità umana, che esorta ad accrescere la propria umanità ed ad attribuire grande valore al prossimo (v.5 “del vostro sangue, ossia della vostra vita io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello”). 

Dio dunque si pone incondizionatamente al fianco di ciascun essere umano, che ha per Lui un inestimabile valore. Questo valore assoluto è riecheggiato nelle parole di Gesù, ”(…)perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete; voi valete più di molti passeri.” (Lc12,7).

La terza parte della conclusione è (v.9,8-17). Questa solenne affermazione sul patto comprende non solo l’umanità ma tutta la creazione. Dio promette che la situazione post-diluvio sarà radicalmente diversa. Dio ora dice “mai più”.

Certo è legittimo chiedersi : non ci saranno dunque mai più distruzioni? Problemi potrebbero sorgere intorno a eventi come la Shoah, in cui sembrerebbe che Dio conceda nuovamente libero sfogo alle acque del diluvio. Ma tutti coloro che hanno interpretato eventi simili come una punizione per i peccati non hanno compreso quale cambiamento sia avvenuto in Dio. L’equazione colpa-punizione è stata abrogata. Secondo questo racconto, morte e distruzione permangono, il male non è stato estirpato dalla creazione. Ma ora abbiamo la certezza che morte . distruzione e male non sono dovuti alla collera o al ripudio di Dio. Il rapporto creatore-creatura non è più di tipo retributivo, esso è ora basato sulla grazia incondizionata, assoluta.

Quale riscontro visibile del “mai più” di Dio, viene istituito il segno dell’arcobaleno (vv.12-16). Esso è al tempo stesso una promessa per la creazione e un memento per Dio, il memento di una promessa che egli manterrà. L’arco non è teso ma è a riposo(non pronto a colpire) e costituisce pertanto un parallelo con lo shabbath (il riposo) al termine della prima creazione.

c)La svolta cruciale: L’esposizione del racconto deve mirare soprattutto a sollevare l’interrogativo: che cosa provocò in Dio questa svolta? Secondo l’interpretazione di molti studiosi ed esegeti il cardine della svolta fu questo:

“Poi Dio si ricordò di Noè, di tutti gli animali e di tutto il bestiame che era con lui nell’Arca” (Gen 8,1).

Questo Dio non è avulso dal tempo e indifferente al dipanarsi degli eventi umani. L’essere ricordati da Dio era richiesto di continuo da Israele (Sal 10,11; Lam 5,20; Is 49,14) che si chiedeva se Dio si fosse dimenticato del suo popolo. In questo racconto l’intera creazione vive questo tempo dell’oblio di Dio, mentre le acque salgono a ricoprire la terra. Il diluvio vuole distruggere il ricordo, cancellare il mondo. Ma il diluvio non prevarrà. É il ricordarsi di Dio a far passare il mondo da una situazione di ostilità al patto!

RIFLESSIONI CONCLUSIVE

La violenza sotto qualsiasi forma si manifesti, annienta chi la compie. E l’umanità, che aveva attirato su di sé la collera divina, non si sarebbe potuta salvare che praticando il bene, il contrario, cioè, della violenza. Quindi Noè e la sua famiglia, otto persone in tutto avrebbero dovuto continuare a dimostrare concretamente di saper praticare il bene. Ed essi, questo bene cominciano a praticarlo subito prendendosi cura, notte e giorno, per lunghi mesi, delle esigenze così diverse di ognuno degli esseri che, per ordine dell’Eterno, erano stati accolti nell’Arca. Un impegno non da poco; un impegno, però, che avrebbe assicurato la sopravvivenza del Creato ! Già da questa immagine scaturisce chiaro il sentimento che costituì l’animadell’Arca di Noè, il miracolo della sua salvezza.

Da un punto di vista logico, infatti, l’Arca, una fragile costruzione di legno come avrebbe potuto sostenere la furia degli elementi, il crollo delle dighe? Ma non è la robustezza materiale dell’Arca che salva l’umanità, bensì la fede, l’armonia, la pace e l’amore che regnano al suo interno: sentimenti che avrebbero dato all’Arca, e a coloro che vi erano stati accolti, quella salvezza morale che avrebbe permesso il superamento di tutti gli ostacoli, di tutte le difficoltà.

Quando invece la civiltà e il progresso si pongono come scopo non il raggiungimento e il rafforzamento della solidarietà, della concordia, dell’amore e della pace, ma la concorrenza e la sopraffazione fra gli individui, fra le nazioni, fra i popoli, tale situazione rischia sempre di portare, come conclusione, al “diluvio” e alla distruzione del Creato e dell’umanità intera provocata dal comportamento stesso dell’uomo.

L’intelligenza e la sapienza, ambedue di origine divina, se invece di essere dedicate al conseguimento del bene, secondo la volontà del Signore sono usate per sviluppare le conoscenze scientifiche al solo scopo di arricchirsi o, peggio, di sopraffare il debole e l’indifeso, portano inevitabilmente all’odio, alla violenza, alla ribellione.

Dobbiamo allora considerare soltanto con pessimismo il progresso scientifico? Certamente no, quando diviene un mezzo per aiutare l’umanità a progredire!

E al di sopra dei “diluvii apparenti”, degli odi e delle rivalità ci rimane sempre la speranza di un rifugio, di un’altra Arca: L’Arca della Bibbia, dell’insegnamento divino, che porta la pace dello spirito, il desiderio di aiutare gli altri, così come hanno fatto con insuperabile abnegazione Noè e i suoi figli.

Un’Arca che, proiettata nel futuro ci dà l’immagine simbolica di un mondo diverso. Nell’ Arca, nella convivenza pacifica di uomini e animali in cui l’uomo, Noè, e i suoi figli, si dedicano alla cura degli animali in loro custodia, così come Dio voleva quando aveva affidato la cura degli animali ad Adamo subito dopo la Creazione, noi vediamo la realizzazione, l’avverarsi dell’Era messianica, quella in cui “il lupo e l’agnello pascoleranno insieme(…) e un fanciullo li condurrà” (Is 11,6).

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